Il senso e lo sviluppo di un pensiero generato da un lavoro – Giorgio Cerati

Giorgio Cerati – MD Psichiatra, CDA Fondazione Ospedali Onlus – Legnano

Correspondence to: giorgio.cerati48@gmail.com

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Per presentare il Convegno può essere interessante e utile ripercorrere, pur brevemente, quei passaggi storici più significativi entro cui si colloca e che l’hanno generato, evidenziando il nesso tra gli esiti del precedente convegno di Triuggio e la preparazione di questo, il cui razionale è qui riproposto in quanto ha costituito realmente la guida ai lavori del convegno stesso.

Il Progetto 2016: per una cultura dell’incontro e della cura

Dopo il convegno di Triuggio dell’ottobre 2014 Il soggetto e i percorsi di cura, il lavoro è proseguito attivamente con il contributo di realtà operanti nella Diocesi milanese e in Lombardia che avevano partecipato al convegno portando il senso e l’esempio della loro esperienza: da Medicina e Persona alla Caritas Ambrosiana, dalla Casa della Carità ad ASFRA, dal Progetto Malaombra della Valtellina a La Nostra Famiglia, dalla Comunità Filo d’Arianna fino all’Associazione Diversamente. Il tavolo di lavoro si è più volte ritrovato e confrontato già nel corso del 2015, cercando di condividere domande e proposte di reale interesse per tutti, in continuità con la tematica del soggetto e della cura, e formulando un programma di eventi per il 2016 in armonia con la proposta culturale attuale della Diocesi ambrosiana.

La riflessione, dunque in atto da tempo, ha coinvolto varie esperienze civili ed ecclesiali impegnate nella cura e nell’assistenza delle persone. Un lavoro mai interrotto, che si rinnova in continuazione con l’evolversi della situazione sociale e culturale. Oggi più che mai gli operatori sanitari sono chiamati a confrontarsi con le motivazioni e gli scopi del proprio compito, in particolare rispetto all’esercizio di professioni rivolte alla cura delle persone. Nel contempo l’Arcivescovo di Milano invita a recuperare il senso di una vita buona e ne esemplifica le tematiche attraverso l’iniziativa culturale pubblica dei Dialoghi di vita buona. Parallelamente, con altre antiche parole, nell’anno giubilare indetto da Papa Francesco si fa appello alle opere di misericordia – visitare gli ammalati, consolare gli afflitti richiamando azioni elementari che un tempo si sarebbero dette semplici.

In realtà, specie per chi opera nel campo psico-sociale insieme ai familiari, ai volontari e agli utenti, queste proposte impattano un’attualità assai complessa e un contesto profondamente modificato, nel quale le dimensioni dell’incontro accogliente e della cura delle persone sembrano smarrirsi. E quindi sollecitano la necessità di porsi di nuovo una domanda aperta sul soggetto e sul bisogno umano, per ripensare ora a come poter incontrare l’altro, mettersi in relazione, curare. Peraltro l’esigenza un riflessione approfondita sulla relazione di cura interessa tutta la medicina, che appare oggi attraversata da una crisi contingente ma sintomatica di una crescente confusione concettuale e professionale.

Di qui nasce il Progetto 2016: per una cultura dell’incontro e della cura con lo scopo di rielaborare il significato e la tipologia delle azioni umane volte a stabilire relazioni tra soggetti negli stati di bisogno e in risposta ad esigenze di cura, nelle condizioni attuali di disagio diffuso, di solitudine, di individualismo alla ricerca di benessere. L’obiettivo è di fornire un quadro di riferimento che nella odierna situazione sociale, economica e culturale contribuisca a orientare gli interventi degli operatori, dei cittadini, dei soggetti sociali, delle istituzioni, anche attraverso esemplificazioni e metodologie adeguate. Sono due le modalità previste:

attuazione di incontri di testimonianza e sensibilizzazione con la popolazione del territorio della Diocesi di Milano e della Lombardia, sul tema dell’incontro quotidiano con il bisogno, drammatico e provocante per l’uomo d’oggi, mediante la predisposizione di uno strumento video come format-guida degli incontri, allo scopo di promuovere un cambiamento di cultura;

realizzazione del Convegno nazionale sul tema La cura al confine – Le relazioni di cura tra incontro e cultura dello scarto, Milano 27 – 29 Ottobre 2016, che a partire dai rischi di perdita del senso del limite e dell’altro-in-relazione e di abbandono della clinica, nell’ambito ampio delle pratiche di salute, intende discutere le caratteristiche della cura al servizio delle persone nella società attuale e della relazione di cura, dei loro fondamenti e implicazioni oggi, in rapporto ai bisogni, alle condizioni e ai problemi emergenti.

Il razionale del Convegno: LA CURA AL CONFINELe relazioni di cura tra incontro e cultura dello scarto

Una traiettoria di lavoro, sviluppata negli anni da operatori psico-sociali e aperta ai fattori umani della cura nelle diverse professioni sanitarie e nelle molteplici esperienze sul campo, si confronta con la fragilità, la crisi morale, i cambiamenti culturali di una generazione, i bisogni tuttora diffusi nella popolazione per riscoprire il senso e i modi del curare .

Vi è oggi una tendenza forte alla ricerca del benessere, che si identifica con quell’attenzione alla propria salute quanto mai diffusa e promossa nella cultura attuale che non di rado si materializza nel culto del corpo in senso igienistico o estetico ed è centrata sul rapporto con se stessi. Il che favorisce atteggiamenti individualistici e ripiegamenti narcisistici, alimentando aspettative crescenti quando non impossibili. Il rischio è coltivare una sorta di illusione onnipotente, la continua ricerca di una posizione impossibile, quella incombente aspettativa di un “mondo perfetto” che denota l’attuale “incapacità di fare amicizia con l’imperfezione delle cose umane” (Ratzinger, 1986).

Cultura, confine, corpo, rapporto: parole che aprono a una prospettiva più ampia e a un’ipotesi opposta: che il legame tra una vita buona e la cura stia in una relazione, in una domanda. La cura implica che uno si muova e si rivolga a un altro stabilendo una relazione di cura, che di norma si svolge nel tempo e spesso sconfina tra corpo e mente. Sono coinvolti dei soggetti. Persone che incontrano sofferenza e malattia e si confrontano con la condizione umana sottesa: il timore di non poter guarire, di un’improbabile restitutio ad integrum, tra speranza di guarigione e rifiuto del cambiamento, tra fiducia nella cura e resistenze. Gli operatori nel prendersi/aver cura dell’altro sfidano il rischio di affrontare tutto questo, che comprende lo “scarto” implicito nell’esperienza umana del dolore o del limite inaccettabile e insieme del desiderio di durare per sempre.

L’uomo quindi, provocato dalla malattia, si pone il problema del senso e, mentre cerca di ritrovare il benessere, domanda di essere accolto in una relazione di cura. Qui il curante lo incontra e, a sua volta, si domanda come può occuparsi positivamente di quella persona. E anche se può farlo in un ambito di libertà. Come tener conto di tutta la complessità di motivazioni e condizioni presenti in entrambi i soggetti, curati e curanti, chiamati a condividere nel bisogno il senso? All’interno di una cultura dominante come l’attuale piena di regole ma relativista, medicalizzata ma ambivalente rispetto alla cura, dove recuperare criteri e strumenti per una buona pratica, senza lasciare nelle dichiarazioni di principio la ricerca di una posizione critica e adeguata al desiderio di curare?

Il pensiero corre ai molti problemi sul tappeto comuni ai vari ambiti della medicina, dall’eccesso di indagini diagnostiche all’estensione delle cure che va dai trattamenti estetici alla grave disabilità, alla demenza, alla cronicità residua dopo la riabilitazione e all’evoluzione cronica delle malattie quasi divenuta normalità, fino ai “nuovi bisogni” che emergono. Come non scartare chi è nel bisogno, saper assistere, valorizzare le esperienze, incontrare le persone e la famiglia? Francesco (2015) considera proprio questo “il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà”.

Infatti, se oggi è necessaria una riflessione non superficiale su cosa vuol dire curare, altrettanto si impone l’esigenza di strumentare le sue possibili modalità attuative nei diversi contesti, età, ambiti di lavoro, resistendo ai rischi di abbandono della clinica, consapevoli che il dono, l’offerta di un “primo passo, non privo di rischio, che costruisce le relazioni personali” (A. Scola, 2015) può rappresentare l’inizio sempre rinnovato del percorso della cura.

Obiettivo del Convegno è focalizzare le caratteristiche che restituiscano alla cura pieno valore al servizio delle persone nel contesto della società attuale, rivalutando le relazioni di cura e di aiuto all’interno delle diverse pratiche di salute, attraverso esperienze e proposte capaci di offrire punti di riferimento imperfetti ma utili a orientare l’intervento degli operatori, dei soggetti sociali, della comunità e delle sue istituzioni.

 

I lavori del Convegno

Scorrendo brevemente le giornate, il Convegno viene aperto, giovedì 27 ottobre 2017, dalla presentazione e dai saluti di Mons. Luca Bressan, Vicario Episcopale Diocesi di Milano per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione sociale, e di Gemma Migliaro, Presidente dell’Associazione Medicina e Persona.

Saverio Palumbo poi interviene su La traiettoria sviluppata a partire dal convegno ‘Il soggetto e i percorsi di cura’ e precedenti, nell’ambito della sessione introduttiva coordinata da Ambrogio Bertoglio dal titolo: La cura al confine con l’impossibile, tra incontro e cultura dello scarto, con interventi di Matilde Leonardi, Aldo Bonomi, Mario Binasco, Sergio Belardinelli.

Siamo molto grati ai relatori per la straordinaria capacità di illuminare con i loro contributi i cambiamenti epocali della società e delle condizioni dell’operare sanitario, come la lettura degli atti confermerà. I temi trattati riguardavano: il contesto oggi e i bisogni delle persone; le fragilità, la dis-integrazione; la domanda di senso, l’io e il noi; l’enhancement; il soggetto tra medicina del benessere e negazione del limite.

La Sessione mattutina di venerdì 28 ottobre, coordinata da Antonio Del Puente e Gerardo Bertolazzi, su L’incontro con l’altro, il bisogno, la cura ha visto intervenire Luigina Mortari ed Eugenia Scabini, focalizzando con grande maestria aspetti fondamentali sul pensiero della cura, centrali nell’economia del convegno, e riuscendo nel contempo ad appassionare l’uditorio.

A tema: l’essenza e la pratica delle diverse relazioni di cura; la persona accolta, la domanda del soggetto da capire e far emergere; il ben-essere, la responsabilità; Il tempo, la speranza; la differenza. Realmente la lucidità dei loro interventi merita, oltre a una rilettura attenta, la nostra sincera gratitudine.

Cito ad es. un appunto, liberamente ripreso da Mortari, che tra l’altro fa molto riflettere circa la superficialità dell’attuale dibattito su libertà umana e autodeterminazione.

In Essere finito ed essere eterno E. Stein dice: “Noi siamo esseri prorogati di momento in momento”. Non siamo noi che decidiamo. C’è qualcosa che decide per noi. Ed è questa che M. Nussbaum definisce la mancanza di sovranità, perché non siamo noi a decidere da dove venire e – aggiunge Heidegger – dove andare. E’ la fragilità profonda del nostro essere. Non siamo solo fragili. La nostra debolezza ontologica deriva anche dal fatto che siamo vulnerabili e, secondo H. Arendt, esseri fortemente condizionati. Perché noi siamo esseri relazionali. Non siamo esseri autonomi. Il nostro essere non sta confinato dentro i confini della nostra pelle. Noi viviamo degli scambi con gli altri. Nessuno di noi può costruirsi da solo. Abbiamo bisogno di nutrimento del corpo, della mente, dell’anima. E solo gli altri ce lo possono dare. Ce lo può dare la mamma quando nel primo abbraccio della vita ci accoglie nel mondo. E ce lo danno tutti gli altri che nel tempo si prendono cura di noi. Dall’altro ci viene il nutrimento, ma ci può venire anche l’offesa, l’indifferenza e ci può venire la mancanza. Vulnerabilità all’altro, quindi, così come all’ambiente fisico nel quale noi siamo… Noi siamo esseri non finiti, non compiuti (Nietzsche) e veniamo al mondo col compito di diventare le nostre possibilità,… di rispondere al richiamo alla trascendenza (M. Zambrano), alla responsabilità di prenderci carico del nostro tempo. 

La Sessione pomeridiana è stata coordinata da Luigi Ferrannini e Mario Ballantini, di fatto realizzando una tavola rotonda su Curare oggi: la clinica, le persone, la relazione. L’argomento toccava vari punti: la clinica e lo scarto tra curabile e inguaribile; le cronicità; corpo e cambiamento; desideri e bisogni. abbandonare la cura o prendersene il rischio; curante e offerta di relazione; la formazione.

Gli interventi dei colleghi Giovanni Murialdo, Sergio Guarinelli, Nicola Renato Pizio e Barbara Pinciara, che ringraziamo molto vivamente, portano riflessioni critiche e concrete testimonianze professionali di rara nitidezza e forte spessore, da riprendere nella ricca articolazione dei diversi approcci proposti da ognuno.

Nelle sessioni parallele vengono proposti ulteriori aspetti specifici e di estremo interesse per la pratica, che hanno potuto essere attivamente discussi nell’ambito di ciascuno dei gruppi di lavoro. Il titolo generale Aver cura / prendersi cura: ambiti psico-socio-sanitari diversi, proposte possibili ha compreso i seguenti argomenti delle sei sessioni previste:

I confini della cura e i bisogni emergenti di salute mentale

Speranza e domanda di senso: il senso religioso nella cura e nella psicoterapia

Dal dolore alla speranza. La cura della comunità: soggetti, famiglie, lavoro di rete 

Riabilitazione ed età della vita, tra assistenza e cura: paziente e integrazione 

Che cosa sostiene l’operatore? Ricchezza dello “scarto”. Le cronicità, il territorio, il case manager

Adolescenti e giovani: l’incontro con un paradigma cambiato

Sono intervenuti Silvia Landra, Domenico Bellantoni, Alfredo C. Clerici, Aldo Bonomi, Rosa Pinto, Domenico Storri, Milly Gualteroni, Elisa Buratti, Alda Pellegri, Pietro R. Cavalleri, Alessandro Colombo, Cesare Moro, Fernanda Bastiani, Cristina Caron, Luca Micheletti, Anna Marazza, Lorenzo Savignano: gli siamo davvero grati sia per il livello elevato dei contributi sia per la sintonia con il metodo e i temi prescelti, oltre al plauso per quanti hanno voluto inviare l’intervento scritto.

Un lavoro d’insieme assicurato dall’apporto dei coordinatori: Paola Soncini, Daniela Fumagalli, Stefano Parenti, Anna M. Emolumento, Teresa De Grada, Mario Ballantini, Daniela D’Onofrio, Sergio Zini, Paola Marenco, Alberto Cozzi, Emiliano Monzani, Michela Marzorati.

Nella Sessione Poster, Le relazioni di cura e i vari confini, coordinata da E. Monzani, si trovano poi varie altre esperienze in atto che possono riscuotere ulteriore interesse.

Il sabato 30 ottobre, al mattino, abbiamo avuto l’eccezionale opportunità di svolgere l’ultima sessione del Convegno, aperta al pubblico, con la partecipazione dell’Arcivescovo Card. Angelo Scola, presso la sala di via S. Antonio a Milano: Lo sguardo della cura. Dopo i saluti di Mons. Bressan e l’intervento di Giorgio Cerati (coordinatore di sessione) su Le prospettive: le questioni affrontate e gli sviluppi di un lavoro, ha preso la parola il Cardinale.

Il tema del suo intervento, per il quale gli siamo profondamente grati, verte su L’orizzonte in cui si colloca la cura. Lo ringraziamo anche per la fiducia e la stima che ci ha accordato consegnandoci queste pagine intense, impegnative e così autentiche, di cui faremo tesoro e naturalmente oggetto di lavoro.

Con la Lettura Magistrale dell’Arcivescovo di Milano Card. Angelo Scola si conclude il Convegno, ma insieme si apre una più ampia prospettiva di riflessione e di collaborazione rivolta a tutti, a partire dai soggetti che vorranno raccoglierne le indicazioni.

Da ultimo, un meritato ringraziamento ad Ambrogio Bertoglio e a Mimmo Iacca per l’efficace e discreta opera di piacevole accoglienza che hanno offerto alla vita comune e al lavoro dei convenuti, così come al Centro Ambrosiano, a Biomedia e ai collaboratori privati per il supporto organizzativo e logistico fornito.

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