Il cambiamento al confine tra curabile e inguaribile. La neurologia oggi: sul crinale tra autonomia e disabilità – Nicola Renato Pizio

Nicola Renato Pizio. MD Neurologo, Direttore SC Neurologia ASL4 Chiavarese

Correspondence to: nicolarenato.nrp@gmail.com

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In Italia vengono ricoverati circa 600.000 pazienti all’anno affetti da patologia neurologica. Circa 180.000 in Strutture Ospedaliere Complesse di Neurologia, il resto in altri reparti, questo anche in seguito all’introduzione del modello assistenziale per intensità di cure che sta modificando l’organizzazione dei vari stabilimenti ospedalieri1. Le previsioni della Organizzazione Mondiale della Sanità per il futuro sono di un progressivo aumento delle morti per causa neurologica sia in senso assoluto che relativamente a tutte le cause di morte (sono attese nel 2030 8.950.000 morti, il 12,22% dei decessi per tutte le cause, con un’incidenza di 113,06/100.000). In particolare, nel 2015 si stimano oltre 6 milioni di morti per malattia cerebrovascolare (ictus) destinati a diventare 7.700.000 nel 2030.2

Vogliamo qui esemplificare tre scenari in cui si manifesta l’accadere della disabilità nelle malattie neurologiche.

Primo scenario: la disabilità irrompe improvvisamente (es.: l’ictus cerebrale).

Una grande parte delle affezioni neurologiche esordisce in maniera acuta e si configura come una emergenza/urgenza. Questi quadri nosologici sono particolarmente devastanti in termini di disabilità e mortalità e sono gravati da notevoli costi, non solo relativi alla necessità di assistenza in acuto ma ancor più in relazione agli esiti spesso invalidanti. L’ictus cerebrale rappresenta la seconda causa di morte a livello mondiale e la terza causa di morte nei paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari ed i tumori. L’ictus rappresenta anche la prima causa di disabilità nell’anziano con un rilevante impatto individuale, familiare e sociosanitario.

A un anno circa dall’evento acuto, un terzo dei soggetti sopravviventi ad un ictus presenta un grado di disabilità elevato, tanto da poterli definire totalmente dipendenti.3

Il medico si trova a rapportarsi (oltre che tentare di curare) con la persona in un passaggio delicato della vita: si tratta della improvvisa transizione tra la più o meno completa autonomia e la disabilità (di varia gravità a seconda dei casi). E, in una situazione di cambiamento epocale come l’attuale, occorre allora rinnovare lo sguardo sul malato e con ciò che ha a che fare con lui. Il primo obiettivo sarà certamente quello di curare, partendo dalla prevenzione, dal controllo dei fattori di rischio, dalla diagnosi precoce e dal precoce intervento (a questo proposito deve essere considerata l’importanza dell’avvento della trombolisi sistemica e della trombectomia nella terapia dell’ictus ischemico acuto).4 Fondamentale è però aiutare le persone (e i loro famigliari) a prendere consapevolezza della nuova situazione, ad accettarla e a combatterla fornendo gli opportuni strumenti di prevenzione secondaria e di riabilitazione (motoria, cognitiva, psicologica, sociale). Nel far ciò ci si trova a fare i conti con l’accesso diffuso a un’informazione sanitaria “non ordinata” che le tecnologie informatiche permettono, e che talora diventa fattore di complicazione nel rapporto medico-paziente. Un aspetto fondamentale di cui si deve tenere conto è la necessità di aiutare il malato e i suoi famigliari a mantenere una adeguata rete di rapporti sociali che favorisca la resilienza del paziente soprattutto in rifermento all’improvvisa perdita di ruolo in famiglia, sul lavoro, nella società.5

Secondo scenario: il declino lento e progressivo (es.: le demenze).

Le malattie neurodegenerative sono patologie in forte aumento epidemiologico (per l’allungamento della vita media, ma secondo recenti studi anche a causa di altri fattori come stili di vita, inquinamento ambientale ecc.). Il loro decorso è più o meno rapidamente progressivo, per cui la durata della malattia con il suo carico di disabilità può variare da pochi mesi a decenni. Le demenze sono di gran lunga il gruppo di malattie degenerative più rappresentato (in Italia stimati 60.000 nuovi casi all’anno con una prevalenza di 1.400/100.000). I costi socio-sanitari delle Demenze in Italia sono stimati intorno ai 10-12 miliardi di Euro annui e, di questi, 6 miliardi per la sola Malattia di Alzheimer.6

Sebbene l’incidenza delle demenze si stia riducendo (dato questo ormai consolidato e probabilmente legato alle misure di prevenzione), il numero di malati totali tende ad aumentare e continuerà ad aumentare nei prossimi anni, in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. In Italia, uno dei Paesi con maggiori percentuali di soggetti anziani, la prevalenza di demenza è stimata fra il 5 e l’8% negli ultra 65enni: questo significa un milione di ammalati sui 12 milioni di italiani con più di 65 anni. Se, come risulta da analisi socio-demografiche, si considera il fatto che per ogni ammalato ci sono almeno due famigliari impegnati nell’assistenza o che “subiscono” la convivenza con il paziente con demenza, significa che nel nostro Paese circa 3 milioni di persone sono coinvolte da questa condizione. Inoltre, i dati epidemiologici vanno corretti per il setting a cui ci si riferisce: nelle case di riposo o nei reparti di medicina generale o di geriatria si arriva a una prevalenza delle demenze vicina al 60-70%.7

Di questo non esiste ancora una adeguata percezione nell’opinione pubblica. Infatti, l’esordio subdolo, la difficoltosa distinzione dei sintomi iniziali da fenomeni di invecchiamento non patologico, e anche una certa distrazione generale da parte del mondo della comunicazione sociale ha da decenni fatto coniare il termine di “epidemia silenziosa”.8 Il “World Alzheimer Report 2016”9 dal titolo “Miglioramento della cura per le persone con demenza: copertura, qualità e costi ora e nel futuro” rivela che la maggior parte delle persone con demenza deve ancora ricevere sia la diagnosi che un’assistenza sanitaria completa e continua. Il Rapporto invita a un’azione comune per estendere l’assistenza sanitaria a tutte le persone con demenza nel mondo. Attualmente, solo circa metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito hanno ricevuto una diagnosi. La disponibilità di nuovi trattamenti è cruciale per garantire equità e giustizia sociale ai due terzi delle persone con demenza che vivono nei paesi con scarse risorse. Secondo il Report una maggiore copertura dei servizi di assistenza sanitaria completa è economicamente possibile, avendo un costo pari circa allo 0,5% della spesa sanitaria totale nel 2030. Occorre tuttavia una volontà politica per mettere in atto i cambiamenti necessari.

In Italia il 13 gennaio 2015 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il testo del Piano Nazionale Demenze (PND): Strategie per la promozione e il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore delle demenze. L’obiettivo dichiarato è di migliorare la qualità della vita e dell’assistenza dei pazienti e delle loro famiglie, con interventi omogenei a livello nazionale. In particolare vengono affermati: l’urgenza del superamento dello stigma nelle famiglie, nelle comunità e tra gli stessi operatori, il diritto dell’ammalato a essere considerato “persona” in ogni fase della malattia e non un “costo”, il superamento di ogni tipo di trascuratezza da parte dei servizi. Nel Piano si afferma che la demenza è una malattia come le altre e va presa in carico con determinazione, il malato ha diritto a rimanere nella propria casa fino a che è possibile, compatibilmente con l’organizzazione di servizi adeguati, a essere assistito in ogni fase della malattia, da quelle iniziali a quelle terminali. Formazione e ricerca sono aspetti centrali in un sistema sanitario organizzato che si impegna a garantire un futuro di qualità nelle cure prestate.10

A fronte di ciò emerge da pazienti e familiari (caregivers) un’insoddisfatta domanda di guarigione, cui il medico può rispondere con l’offerta della terapia più aggiornata e sostenibile, con il rimando alle prospettive che la ricerca scientifica sta aprendo11 (ma che non sono in grado di rispondere alla domanda immediata del paziente singolo), ma soprattutto con quella di un percorso di cura e assistenza che coinvolga una rete di altre figure professionali sanitarie e sociali. Fondamentale è ricordare ai curanti che il caregiver partecipa alla sofferenza del malato e, secondo dati dell’Associazione Alzheimer americana, lo stress che subiscono e che viene definito “alto o molto alto” è maggiormente di carattere emozionale (59%) che fisico (32%).12

Un esempio di questo carico emozionale emerge nella lettera inviata via email al neurologo curante dal figlio giornalista di una paziente affetta da malattia di Alzheimer: “Gentilissimo dottor… si ricorda la domanda che lei fece alla mamma a proposito del pranzo nel corso dell’ultima visita? Mia mamma rispose ostentando sicurezza di aver mangiato “Pasta con il pomodoro”. Io, che non ero a casa quel mezzogiorno, mi sono poi informato: la mamma aveva mangiato un po’ di formaggio. Sono convinto che se lei le facesse dieci volte la stessa domanda, la mamma ripeterebbe sempre la stessa risposta: è il piatto con il quale ci si è sempre inventati un pranzo in casa nostra, quando non si sapeva che cosa mangiare. Ora l’emergenza è che lei non sa che cosa ha mangiato. Il 18 settembre, la mamma ha compiuto 78 anni. “Ne ho 24, no?” ha chiesto a mio padre, cercando conferma. In realtà, aveva 24 anni quando si è fidanzata con lui, non so se c’entri qualcosa.[…] Inoltre, la mamma non riesce più a vestirsi né a pettinarsi da sola. Ride di continuo e quasi sempre a sproposito (sempre meglio che un eccesso di aggressività, lo so…). Da mangiare non ne fa più da tempo (ma la cucina è sempre stato il regno del marito). È apatica, svogliata: trascorrerebbe tutto il giorno a letto. Un caro saluto e a martedì. Roberto …”

Terzo scenario: la perdita tumultuosa e ineluttabile delle autonomie (es.: la sclerosi laterale amiotrofica).

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia rara (codice identificativo RFO100 in base al Decreto del Ministero della Sanità n. 279 del 18/05/2001) caratterizzata da una degenerazione dei motoneuroni, le cellule deputate al controllo del movimento volontario. La conseguenza di tale processo patologico è la progressiva paralisi della muscolatura scheletrica per cui dopo uno – tre anni dall’esordio il paziente non è più in grado di muoversi, di parlare, di deglutire, di respirare. La morte si verifica in media dopo 2-5 anni a causa del coinvolgimento dei muscoli respiratori. I pazienti, per tutta la durata della malattia, conservano nella maggior parte dei casi l’integrità delle funzioni mentali. La causa di questa patologia non è conosciuta per cui non esistono al momento trattamenti farmacologici .caci

Nel passato (fino a circa due/tre decenni fa) accadeva che il neurologo si rapportasse con il paziente affetto da malattia del motoneurone (SLA) solo fino al momento della diagnosi, in quanto vi era assoluta mancanza di presidi terapeutici. D’altro canto le esigenze del malato che richiedevano una presa in carico globale, più in termini di “care” che non di “cure”, erano estranee a una concezione della medicina allora rigidamente separata in ambiti specialistici. Sempre in quell’epoca la fisioterapia non veniva nemmeno presa in considerazione, in quanto l’obiettivo della restitutio ad integrum o quanto meno del recupero funzionale delle funzioni perdute (motorie e non) non era ragionevolmente perseguibile e quindi non venivano di norma impegnate risorse in questi pazienti.

Con il progresso delle tecniche di ventilazione invasiva e non invasiva, della nutrizione, della comunicazione alternativa ma soprattutto con la cultura della presa in carico multidisciplinare è invece oggi possibile e codificato il percorso assistenziale del malato.13 Sono disponibili in centri specializzati ma anche sul territorio equipe comprendenti molte figure specialistiche mediche (neurologo, pneumologo, fisiatra, foniatra, dietologo, gastroenterologo, anestesista rianimatore, palliativista..) e non mediche (psicologo, infermiere, fisioterapista, terapista occupazionale, dietista…) che, coinvolgendo il paziente con i suoi famigliari, il personale di assistenza e dell’associazionismo, permettono la presa in carico e la gestione dei vari aspetti dell’assistenza al malato di SLA. Questo non toglie il dramma dell’esperienza della malattia, ma sostiene il malato nella sua dignità di persona e i famigliari nel loro gravoso lavoro. Laddove il percorso è stato quello descritto si possono affrontare senza disperazione o percezione di abbandono decisioni importanti in merito a nutrizione artificiale, ventilazione assistita non invasiva e invasiva e fine vita.

Esperienze di questo tipo dimostrano alcune verità.

Il professionista non può essere da solo con il malato. La presa in carico è sempre multidisciplinare e multiprofessionale. Il malato e la sua famiglia sono sempre interlocutori. È sempre possibile un uso corretto delle risorse disponibili.

Dove non c’è la «medicina» che guarisce ci sono tante cose da fare: “Ho compreso ed oggi ne sono un convinto sostenitore che una malattia ‘inguaribile’ non è sinonimo di ‘incurabile’.  Si può essere veramente felici, se lo si vuole, con la consapevolezza che il proprio limite non limita la vita, ma può anzi arricchirla.”14

Bibliografia

1) http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2446_allegato.pdf

2) Neurological Disorders: Public health challenges. WHO Press, Geneva 2007, p. 194

3) Linee Guida SPREAD: http://www.iso-spread.it/

4) ivi

5) Jetten J. et al., The Social Cure. Scientific American MIND 20 (5), 26-33, 2009.

6) http://www.iss.it/demenze/index.php?lang=1&anno=2016&tipo=17

7) Bianchetti A. et al., Piano Nazionale Demenze. Nuovi scenari di cura. Psicogeriatria 2016; Suppl. 2: 5-13

8) Beck JC, Benson DF, Scheibel AB, Spar JE, Rubenstein LZ, Dementia in the elderly: the silent epidemic. Ann Intern Med. 1982 Aug; 97(2):231-41.

9) https://www.alz.co.uk/research/world-report-2016

10) Bianchetti A., et al. cit.

11) Editorial. Great expectations for dementia research. www.thelancet.com/neurology Vol. 15 February 2016 p.125

12) Alzheimer’s Association, 2016 Alzheimer’s Disease Facts and Figures. Alzheimer’s&Dementia 2016;12(4)

13) Radunovic A. et al., Clinical care of patients with amyotrophic lateral sclerosis. Lancet Neurol2007; 6: 913–25

14) Cfr. M. Melazzini, Lo sguardo e la speranza. La vita è bella, non solo nei film. San Paolo Edizioni Alba CN 2015

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