Il lavoro dell’Associazione Diversamente con le famiglie di persone affette da disagio mentale grave

Elisa Buratti. Psicologa Psicoterapeuta Associazione Diversamente ONLUS – Milano

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L’Associazione Diversamente opera dal 2004 a sostegno dei familiari di persone con disagio psichico.

Da diversi anni infatti ci prendiamo cura di chi si prende cura perché la malattia mentale è un affare di famiglia: colpisce una persona sola, ma soffre l’intero nucleo. Il nostro lavoro prende forma attraverso l’integrazione tra i diversi professionisti del servizio pubblico e privato con i nostri operatori e volontari.

Prima di descrivere il modello di intervento che caratterizza Diversamente, vorrei presentarvi la tipologia del familiare che si rivolge per la prima volta alla nostra Associazione, così da rendere chiaro l’importante e faticoso cambiamento, che porta dalla chiusura della sofferenza all’apertura della speranza.

Da diversi anni, incontriamo familiari stanchi perché l’Associazione solitamente viene considerata come l’ultima spiaggia, l’ultimo tentativo, dopo aver consultato tanti specialisti tra cui psichiatri, psicologi, neurologi e medici di base alla ricerca stremante della cura che porti alla guarigione.

Familiari impotenti perché sentono di aver perso il proprio ruolo, di non poter far nulla per cambiare la situazione. Ragionando su questo mi accorgo di quanto anche noi specialisti siamo i responsabili inconsapevoli di quell’impotenza; lo diventiamo ogni volta che pronunciamo a una mamma la frase “signora, la cura è una scelta, nasce da una motivazione personale.. se suo figlio non vuole curarsi abbiamo le mani legate…”. È davvero questa la realtà?

Familiari arrabbiati, arrabbiati con la persona che rifiuta la cura, arrabbiati con i Servizi perché sembra non facciano mai abbastanza, arrabbiati con se stessi perché potevano accorgersi prima di tutto quel dolore e intervenire per tempo.

Familiari che si sentono in colpa, colpevoli per quella rabbia, per la delusione che provano verso la persona malata, o perché si sentono loro stessi la causa della sofferenza.

Familiari imprigionati, perchè sentono di aver perso la libertà, costringendosi a vivere confinati tra le mura domestiche per paura che possa succedere qualcosa di tragico in loro assenza, a rinunciare a gran parte della loro vita perché la malattia invade tutto lo spazio, quello mentale come quello fisico.

Il familiare che arriva per la prima volta in Associazione è dunque un familiare che ha perso la speranza, che subisce la sofferenza sentendosi sopraffatto e, involontariamente, può mettere in atto comportamenti disfunzionali, dinamiche relazionali invischiate o espulsive, andando a compromettere ancora di più la situazione già critica, aumentando la conflittualità e il livello di emotività.

Alla luce di questo, il nostro obiettivo è quello di costruire nel familiare la speranza, sostenendolo nel sentirsi parte attiva all’interno del percorso di cura, nel riacquisire fiducia nelle proprie capacità, una maggiore consapevolezza di Sé e di quello che ancora si può fare proprio grazie al suo intervento.

Il filo rosso del nostro intervento è sapere, saper fare e sapere di saper fare: il familiare acquisisce conoscenze, informazioni, impara a gestire le situazioni critiche ed diventa consapevole del proprio cambiamento e dell’impatto positivo che ha sulla persona sofferente.

Il nostro percorso inizia con un colloquio di accoglienza e definizione del bisogno reale, tenuto da un volontario, generalmente dalla nostra presidentessa. Questo proprio per favorire nel nuovo arrivato un senso di maggior comprensione, di empatia e condivisione delle esperienze generato dal fatto che l’ascolto è dato da altro familiare. In base a ciò che è emerso in questa prima fase si costruisce un percorso ad hoc.

Il passaggio successivo è l’inserimento nei gruppi di psico-educazione per familiari tenuti da due psicologhe psicoterapeute, una psichiatra e con il prezioso supporto dei facilitatori ( familiari esperti che rendono più fluida la comunicazione e offrono spunti di riflessione). Il modello di riferimento trae ispirazione dalle teorie di Ian Falloon, uno dei primi sostenitori del lavoro con la famiglia come parte integrante del percorso di cura.

Attualmente Diversamente ha in attivo tre gruppi nelle sede di Milano e uno nella sede di Bresso. I temi trattati ruotano intorno al concetto di ascolto attivo, comunicazione efficace e problem solving per poi aprirsi alla condivisione delle esperienze tra i partecipanti. Si rende visibile come il gruppo stesso sia uno strumento di lavoro, in cui la persona può sentirsi libera di porsi e raccontarsi all’interno di un clima non giudicante, rispettoso e accogliente.

Parallelamente si lavora per l’aggancio della persona sofferente ai Servizi di cura attraverso l’accompagnamento del familiare al CPS e riunioni di equipe tra gli specialisti del pubblico e gli operatori di Diversamente.

Avvenuta la faticosa fase di aggancio, che può richiedere anche tempi molto lunghi, si procede alla costruzione di un progetto di cura individualizzato e alla presa in carico della persona attraverso interventi multidisciplinari che mettono in campo, in modo sinergico, le risorse dei Servizi e quelle dell’Associazione (laboratori, percorsi propedeutici al lavoro, gruppi di parola, attività a scopo riabilitativo e di inclusione sociale).

Nella nostra esperienza abbiamo capito come sia proprio la costruzione di una rete che lavori in alleanza con il soggetto e la sua famiglia a essere la leva da cui far partire il processo di cambiamento e la rinascita della speranza.

In conclusione, il punto di arrivo di questo cammino è la presenza di un familiare che si sente attivo, fiducioso e competente, che ha cura dei legami, che richiede un intervento appropriato e non miracoloso, che partecipa come alleato al processo di cura nel rispetto dei ruoli e che,in ultima analisi, diviene esso stesso promotore del cambiamento verso il benessere.

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