La Riabilitazione in età evolutiva – Alda Pellegri

Alda Pellegri. MD Neuropsichiatra Infantile, Sovrintendenza Sanitaria dell’Associazione La Nostra Famiglia Onlus – Bosisio Parini (CO)

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Ogni persona disabile rientra in una particolare tipologia di pazienti le cui caratteristiche patologiche più salienti definiscono i diversi quadri clinici.

Trattandosi in particolare di età evolutiva le espressioni personali sono molto diversificate, oltre il quadro clinico di riferimento, esse dipendono innanzitutto dalla gravità degli esiti del danno subito, dalla personalità di ogni soggetto che si è andata strutturando nel tempo, dall’età e soprattutto dall’influenza dell’ambiente di vita sulle acquisizioni di abilità e autonomia.

Negli ultimi quindici anni è andata progressivamente aumentando la popolazione straniera, nei Centri dell’Associazione la Nostra Famiglia i bambini e ragazzi disabili provenienti da paesi stranieri sono circa l’8% dell’utenza. Questo significa leggere le richieste ambientali in modo sempre nuovo e adattato all’ambiente che cambia.

Le esperienze che stiamo facendo all’estero, in paesi dove i bisogni emergenti sono di primaria importanza, orientano i processi formativi nel settore della disabilità infantile in popolazioni straniere, per essere puntuali ed essenziali nelle risposte.

Identificate le caratteristiche di ogni soggetto dobbiamo sempre chiederci quali sono i reali bisogni delle persone disabiliper effettuare interventi utili ed efficaci nel migliorare la loro qualità di vita.

Occorre porre attenzione a non interpretare i bisogni in base alle apparenze di gravità, non tenendo conto delle caratteristiche personologiche e ambientali che rendono il quadro clinico grave o complesso, modificabile con gli interventi riabilitativi o a rischio di devianza se l’ambiente vanifica i traguardi raggiunti.

1 Caratteristiche cliniche e personologiche dei quadri clinici più frequenti

Disabilità motorie

Il problema principale è quello relativo alla patologia del movimento. I casi lievi ed anche quelli di media gravità hanno potenzialità evolutive in genere buone, sia in relazione all’efficacia della riabilitazione che all’apporto della tecnologia.

Il vissuto di “diversità” risente molto della situazione di disabilità congenita oppure acquisita per il diverso livello di consapevolezza di “normalità”: meno problematica in genere nelle disabilità congenite rispetto a quelle acquisite.

I casi gravi dipendono costantemente dall’intervento di aiuti esterni per obiettive limitazioni funzionali. L’inserimento lavorativo e sociale è sempre in questi casi molto aleatorio e comunque precario. Questo vale anche per le persone con disabilità croniche invalidanti specie se ad andamento involutivo.

Disabilità intellettive

L’analisi della tipologia viene fatta in relazione alle potenzialità di integrazione sociale ed alle necessità di interventi socio-assistenziali nell’ambito territoriale.

I soggetti più gravi acquisiscono pochissime abilità di autonomia, che vanno comunque stimolate e mantenute nel tempo sia con attività riabilitative che socio-educative, inserite in progetti d’ambiente, garantite da strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali adeguate.

L’integrazione sociale di queste persone dipende completamente dalla capacità di chi opera come educatore, come terapista, come infermiere, come assistente sociale, come care giver.

I soggetti con gravità media possono essere inseriti in ambienti protetti o anche normali con una guida più o meno significativa a seconda delle caratteristiche comportamentali del soggetto.

Per entrambi questi gruppi di patologie la qualità della vita dipende moltissimo dal tipo di famiglia, dal comportamento più o meno adattabile al gruppo dei pari ed all’ambiente di vita.

I casi con ritardo lieve e i cosiddetti borderline sono le persone a rischio costante di avere una psicopatologia o di incorrere nella devianza sociale. La riabilitazione deve operare in questi casi per tempi brevi, valorizzando le abilità e curando l’evolversi dell’autostima.

L’impegno più significativo deve essere quello di favorire l’inserimento sociale e quindi di operare in modo incisivo sull’ambiente.

Molto problematico è anche il reinserimento sociale di persone con disabilità acquisite, quali esiti di trauma cranici o patologie tumorali cerebrali, avendo spesso questi soggetti comportamenti aggressivi ed estrema difficoltà di adattamento (sia loro che i famigliari) alla nuova situazione che si è verificata dopo il trauma.

Problemi relazionali

Le persone con problemi relazionali sono in continua crescita, dai più gravi ai più lievi, sempre comunque molto difficili da prendere in carico per l’alterata comunicazione che li caratterizza.

Nei casi più complessi la riabilitazione è efficace solo se diagnosi e trattamento sono precoci e duraturi nel tempo. I risultati sono sempre labili, soprattutto in relazione alle aspettative dei famigliari che stentano a comprendere la gravità del problema, che pure paventano, avendo essi oggi mediamente sufficienti conoscenze e competenze per capire termini e significati relativi a diagnosi e prognosi. Questo atteggiamento può comportare interventi tardivi, ricerca di soluzioni clinicamente discutibili, isolamento, rifiuto dei limiti e quindi peggioramento progressivo della situazione.

Persone ad alta complessità (PAC)

Il riferimento a questo tipo di patologia è nel Piano di indirizzo sulla Riabilitazione approvato dalla conferenza Stato Regioni il 10 febbraio 2011. Appartengono a questo gruppo i casi più complessi e più gravi, spesso con limitate abilità funzionali, definiti pluridisabili, portatori cioè di più minorazioni con la conseguente interferenza negativa di una minorazione sull’altra.

L’evoluzione della funzionalità, quando possibile, è lenta, i risultati scarsi, sono sempre possibili anche le regressioni in assenza di facilitazioni in ogni ambito: motorio, comunicativo, cognitivo, relazionale.

Disabilità con gravi problemi fisici bisognosi di assistenza infermieristica

Questi sono i casi “dipendenti dalle macchine”, per i quali i tempi di riabilitazione e di assistenza si articolano in tappe successive, così come si susseguono le speranze e le attese di vita e di morte con la difficoltà di capire in modo realistico quale qualità di vita vogliamo loro garantire, in base a quale consapevolezza e a quale capacità reale di cura.

Una chiarificazione importante da fare è quella relativa alla gravità e ai bisogni riabilitativi che in genere dipendono molto dalla precocità della diagnosi e degli interventi, oltre che dal tipo di richiesta ambientale. La gravità del quadro clinico è una delle più importanti variabili che segnano le potenzialità del recupero sia clinico che funzionale. Va però distinta dalla complessità.

Gravità: si intende in genere riferita alle competenze psichiche, motorie e sensoriali. Nel giudizio comune si pensa alla persona disabile grave come ad un soggetto con ridotta autonomia funzionale, scarse potenzialità di recupero e perdurante condizione di dipendenza dai famigliari. Una tale condizione rende in effetti molto difficile l’iter riabilitativo e la previsione di recupero per la concomitanza di pluriminorazioni. Noi riteniamo che si definiscono casi affetti da pluridisabilità quelli che hanno due o più minorazioni da medio a gravi.

Complessità: il problema può essere clinicamente anche meno severo del caso definito grave, la complessità deriva infatti più che dal quadro clinico in sé, dalla percezione che il soggetto ha della sua invalidità, in relazione soprattutto alle attese di normalità dei famigliari, della scuola, dell’ambiente di vita sociale. Ci troviamo spesso di fronte a situazioni che sarebbero clinicamente poco impegnative, per le quali si potrebbe ipotizzare un recupero soddisfacente delle funzioni, che però rischiano di perdersi nella sofferenza della depressione, nel ritiro psicologico da perdita di autostima.

La complessità dei quadri clinici richiede una stretta relazione fra CLINICA E RICERCA per:

a) individuare le cause dei quadri clinici ancora ignote

b) effettuare uno studio epidemiologico sistematico

c) studiare protocolli e percorsi terapeutici sperimentati

d) individuare indicatori d’esito

e) definire i costi per patologie degli interventi riabilitativi.

2 Che cosa chiede la famiglia

Ruolo della famiglia:

la famiglia è importante sempre, per costruire relazioni positive, valorizzanti, ricche di comunicazioni vere e durature

la famiglia deve svolgere il suo ruolo fondamentale che è quello educativo

la famiglia collabora nel progetto riabilitativo secondo le indicazioni dei terapisti a cui comunica la realtà del proprio figlio/a

è importante dare credito a quanto la famiglia esprime e richiede. 

In base alla consapevolezza che la famiglia acquisisce nel tempo relativamente alla complessità della situazione del proprio figlio/a disabile, si incrementa la richiesta di trattamenti intensivi e a lunga durata, mentre nell’ambito della Riabilitazione si sta operando sempre più per cicli mirati, brevi, specifici per ogni tipo di patologia, età e gravità.

Persiste da parte dei famigliari la richiesta di segni significativi di recupero anche oltre i tempi consentiti dalla lesione, il tipo di patologia, i compensi funzionali possibili.

Per questa divaricazione fra domanda e risposta è facile che la famiglia ceda alle false prospettive di miglioramenti significativi in relazione a proposte reclamizzate in modo improprio dai mass media.

La famiglia chiede prognosi cliniche chiare e motivate, risposta non sempre ottenibile in base al tipo di struttura interpellata.

Persiste così molto spesso nella famiglia l’angoscia di un futuro non chiaro e la percezione di un tempo sempre più difficile da gestire.

3 La presa in carico

“Presa in carico” di un soggetto disabile significa: porre attenzione alla problematicità della sua situazione, che va dalla comunicazione della prima diagnosi alla famiglia, all’evidenza di tutte le complessità che essa comporta, alla conoscenza dell’ambiente che nel tempo si prenderà cura di lui, alla formulazione il più precoce possibile della prognosi.

È indispensabile che nel concetto di “presa in carico” si tenga conto di chi la fa, di come la si fa, di quante relazioni con l’ambiente essa comporta e di come si possa realizzare la continuità di cura.

Per dare senso realistico al concetto di “presa in carico” dovremmo verificare come il bambino è diventato adolescente e come sta vivendo oggi la sua vita di adulto.

La comunicazione della prognosiè fondamentale per dar credito sia alla competenza dell’équipe riabilitativa che alla globalità dell’intervento riabilitativo che si sta facendo e che si prevede sarà necessario in futuro. Spesso la famiglia rifiuta la prognosi ritenuta negativa cercando soluzioni che possono risultare deleterie per il benessere del bambino e della famiglia.

Verifica dei risultati

È importante nella presa in carico di una persona disabile, in particolare se in età evolutiva, garantire la necessaria continuità riabilitativa e assistenziale per operare verifiche a distanza degli esiti del trattamento il più possibile attendibili, che orientino le scelte successive.

La costante valutazione dell’outcome e della qualità della vita dei bambini seguiti in età evolutiva diventati adulti ci consente di controllare la serietà delle prognosi e la reale efficacia dei trattamenti effettuati.

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