L’adolescente vulnerabile, una domanda attuale per la società

Lorenzo Savignano. Neuropsichiatra Infantile SerT ASL Avellino, Referente ASL Avellino per i Programmi “Guadagnare salute in adolescenza”

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Adolescenti “profeti”

Chi, a vario titolo, si occupa di sofferenza adolescenziale sa bene quanto questo sia una opportunità privilegiata anche per poter percepire in modo più precoce e più intenso la reale consistenza e il grado di corrispondenza all’umano di una certa società e di un certo momento storico. Questo perchè, a causa della particolarissima e irripetibile apertura fase-specifica alla realtà che vivono gli adolescenti, questi, quasi profeticamente, riescono ad incarnare e, prima di altri, a “dire” (sebbene, la gran parte delle volte, in un linguaggio non verbale) ciò che in un dato contesto, in una data epoca storica è disfunzionale. Come in una sorta di maxischermo, si può, in loro, osservare in modo più ingrandito e riconoscere in modo più nitido ciò che in altre età della vita è ugualmente presente sebbene in modo più sfumato e, quindi, spesso meno riconoscibile.

Dipendenze comportamentali e vulnerabilità neurobiologica adolescenziale

Un fenomeno che sicuramente getta una luce nuova e introduce una possibile nuova chiave di lettura sull’odierno mondo adolescenziale e delle sue sofferenze è l’imporsi sempre più delle cosiddette dipendenze comportamentali. Esse, sebbene potenzialmente riguardanti tutte le fasce d’età, trovano, per varie ragioni, prevalentemente nell’età adolescenziale il terreno più favorevole. Tra esse, ricordiamo, per la particolare possibile diffusione nel mondo giovanile, soprattutto il gioco d’Azzardo patologico (Gambling) e l’Internet Addiction Disorder (IAD).

Si tratta di condotte di per sé non patologiche (anzi, il più delle volte hanno uno spiccato ruolo fisiologico ed evolutivo) ma che, in alcuni individui e in alcune condizioni, possono diventare francamente disfunzionali fin quasi a togliere all’individuo la libertà di astenersi dal compierle, portando, nel tempo, anche da un punto di vista di modifiche strutturali cerebrali, ad un quadro per gran parte simile alle più note dipendenze da sostanza, tanto è vero che il recente DSM 5 giustamente assegna loro lo status di vere e proprie dipendenze patologiche.

Questo rimaneggiamento strutturale cerebrale avviene in forza del fenomeno (prevalentemente presente nel cervello di un adolescente e recentemente meglio compreso grazie all’introduzione in diagnostica di metodiche quali la Risonanza Magnetica Funzionale) della neuroplasticità, ovvero della capacità che, alla lunga, anche i comportamenti hanno, di rimodellare in senso non solo funzionale ma anche anatomico-strutturale i circuiti e le sinapsi cerebrali, soprattutto laddove questi comportamenti siano accompagnati dalla increzione di dopamina che, essendo “molecola della salienza”, è come se li mettesse in evidenza, rendendoli, così, causa efficace di possibili rimodellamenti delle sinapsi cerebrali.

Ma perché gli adolescenti manifestano, in ciò, una maggiore vulnerabilità rispetto agli adulti?

Possono essere identificate ragioni non solo di natura sociale (che si proverà a tratteggiare brevemente in seguito) ma anche di ordine neurobiologico in senso stretto. La vulnerabilità neurobiologica dell’adolescente deriva (in sintesi) sostanzialmente dal fatto che (come si è compreso grazie a studi recenti anch’essi resi possibili grazie all’introduzione, in diagnostica, della Risonanza Magnetica Funzionale) il loro cervello è ancora in fase di maturazione (che terminerà verso i 22 – 25 anni). Maturazione che non riguarda in modo sincrono tutte le parti del cervello ma che investe innanzitutto la parte più profonda, quella maggiormente legata al mondo delle pulsioni (il drive), prima ancora che la parte prefrontale, più cognitiva e regolatoria (il controller).

Ne deriva una cera “ipofrontalità” adolescenziale tale per cui essi hanno fisiologicamente una quota di Sensation seeking e di Risk taking maggiore rispetto agli adulti. Per provare a dirla con un’immagine, sono come un’automobile in cui è stato montato il motore di una Ferrari ma in cui i freni sono ancora quelli di una bicicletta.

Mi preme, comunque, sottolineare che questa maggiore vulnerabilità neurobiologica non è un errore della natura bensì una sorta di necessario “prezzo da pagare” per l’importantissimo compito che la natura affida agli adolescenti: quello di esplorare, per tutti, territori nuovi. E questo compito può essere svolto solo vivendo, al contempo, un certo risk taking.

Sensation Seeking ed Alessitimia

Interessante è anche il fatto che queste dipendenze comportamentali intercettino e amplifichino due dimensioni psicopatologiche che tutti gli studi descrivono in aumento soprattutto nell’universo giovanile: la sensation seeking e l’alessitimia.

La prima è la tendenza a ricercare costantemente sensazioni forti per sentirsi vivi. Si tratta (sinteticamente) di un approccio alla vita in cui domina nella persona un vissuto di noia che si cerca di allontanare e di esorcizzare con delle “botte di adrenalina”, ottenute in un modo o nell’altro. La noia … Per dirla con Sartre: “Quell’esperienza per cui le cose ci sono ma non mi dicono più niente” oppure, con Blanchot: “La putrefazione dell’attesa”. Esito di ciò è una sempre maggiore comparsa, nella persona, di un “registro della sensazione” che gradualmente va a prendere il posto di un più naturale “registro di relazione” (con il mondo, con gli altri e con sé stessi).

Analogo esito si ottiene a causa dell’amplificazione del tratto alessitimico: viene meno il riconoscimento delle proprie emozioni oppure, se riconosciute, è come se si fosse perduto il linguaggio per narrarle. Anche qua, in questo vuoto, in questo mancato riconoscimento di sé, è come se il normale mondo delle relazioni venisse gradualmente sostituito da un alfabeto più primordiale, quello delle sensazioni.

Non si capirebbe nulla del gioco d’azzardo oppure di una certa incapacità a disconnettersi dalla rete (IAD) se non si capisse che ciò che una persona sta realmente cercando nel praticare questi comportamenti non è una vincita in denaro (nel caso del Gambling) o una relazione (nel caso dell’IAD) ma una continua eccitazione, realizzando, in ciò, la profezia di Nietzsche: “La cosa che più importa all’uomo moderno non è più il piacere o il dispiacere ma l’essere eccitato”.

Vulnerabilità adolescenziale e società postmoderna

Ma perchè questa vulnerabilità neurobiologica presente da sempre in un normale percorso di crescita di un adolescente è diventata, nell’epoca attuale, così amplificata?

Un tentativo di risposta a ciò passa (credo) attraverso un tentativo di comprensione di quella che, sinteticamente, definiamo come attuale società post-moderna. Approfondire adeguatamente (come meriterebbe) questo aspetto ci porterebbe, in questa sede, troppo lontano. Vorrei solo accennare, della società post-moderna, al cosiddetto “tratto additivo”, caratteristica per cui, con una “manipolazione consapevole e intelligente, delle opinioni e delle abitudini delle masse” si cerca di evocare in esse le parti meno riflessive e più “di pancia” per “agganciare” gli individui, rendendoli soggetti disinibiti e pulsionali. Basta dare un’occhiata alle pubblicità normalmente trasmesse per rendersi conto di ciò.

Si desidera creare un io immaturo, un io che non sappia dire “io”, un io che viva l’”io” come un fascio di reattività, un io liquido, talmente liquido da essere “ambiguo ed indefinito” (per capire ciò, pensiamo, per esempio, alla vastissima eco che ha avuto, recentemente, nel mondo, la scomparsa di David Bowie, non solo artista di altissimo livello ma anche straordinaria icona di questa indefinitezza postmoderna).

Un individuo che, affettivamente, risulti spesso bloccato su posizioni di narcisismo più o meno funzionante (e non è un caso che, oggi, il narcisismo tende ad essere non più considerato come un tratto patologico), narcisismo che può venire intercettato e ulteriormente amplificato dai social media (è questa la vera causa di pericolosità di questi altrimenti utilissimi strumenti) generando, nei casi estremi, una vera e propria nuova “mente digitale”.

Ma tutta la clinica psicoanalitica, da Freud in poi, insegna che restare legato in modo cieco alle pulsioni è mortifero, è una pulsione di morte. Quello che sembra, all’apparenza, una liberazione diventa una sottile e violenta schiavitù ottenuta (per provare a dirla in linguaggio psicoanalitico) attraverso una inedita odierna alleanza tra il superio e l’es contro l’io. E ciò, alla lunga, non può non portare, nel fondo inconscio della persona, alla percezione della vita come luogo non di una promessa ma di una minaccia, un luogo di passioni tristi.

È evidente come un tale clima culturale debba necessariamente portare anche ad un ripensamento del lavoro nella Prevenzione. In un mondo che, per la gran parte, parla alle pulsioni dell’individuo, non ci si può meravigliare se una Prevenzione con gli adolescenti basata sulla sola informazione, cattedratica e rivolta solo alla sola “testa” (non che non si debba parlare alla “testa”! … Il problema è la riduzione ad un razionalismo o nominalismo), dimostri tutta la sua insufficienza e, il più delle volte, cada nel vuoto. Come analogamente cade nel vuoto una Prevenzione basata sulla sola proibizione. In questo mi sembra interessantissima e tutta da sviluppare la riflessione di Lacan in merito all’importanza di considerare e sperimentare lo strappo dalle pulsioni mortifere come occasione di un plusgodimento che il mero cedimento alla pulsione cieca non saprebbe garantire.

Desiderio e ruolo del padre

Nietzche profeticamente affermava:”Ahimè! Sta per giungere il tempo in cui l’uomo non scoccherà più la freccia del suo desiderio oltre l’essere umano e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare”.

Per comprendere la veridicità di tale affermazione forse è utile richiamare alla memoria il 44° Rapporto del CENSIS sullo stato dell’Italia (anno 2010) in cui si leggeva -appunto- che la vera ragione della crisi che stava attraversando l’Italia era dovuta proprio ad una mancanza di desiderio, soprattutto tra i giovani.

Non solo si rileva, tra i giovani, per dirla con Citati, spessissimo uno strano torpore, che può talvolta arrivare fino al preoccupantissimo fenomeno dei NEET (ragazzi che né studiano né lavorano) ma, analogamente spesso, si documenta in un agitarsi fibrillante che non diventa cammino o costruzione di sè.

Desiderio (riecheggiando Recalcati) è più che un istinto o una voglia o un capriccio. Desiderio è più che un bisogno. Desiderio è una forza che, in un certo senso, non nasce dall’io ma che attraversa l’io spodestandolo da un presunto autogoverno, portandolo ad una esperienza perturbante di perdita di padronanza, di vertigine, di ingovernabilità, di qualcosa di esorbitante che si impone anche alla volontà, obbligando l’io ad una ricerca e sviluppo del sè. È una sorta di vocazione. Infatti Lacan proponeva di tradurre il termine tedesco che in Freud definisce il desiderio (wunsch) con il termine francese voeu (voto, vocazione, invocazione) e arrivava a dire che, nella vita esiste un solo peccato: il tradimento del proprio desiderio.

Oppure, per dirla con Giussani, “La parola desiderio è oggi tutta intesa soggettivisticamente e, perciò, è proprio l’apertura al disfacimento di tutto. Invece il vero desiderio è l’opposto: è la posizione in cui uno annusa, sente, presente, scopre qualcosa di altro come contenuto di sé, qualcosa di altro come valore, verità, bellezza, bontà e consistenza di sé; qualcosa di altro. Desiderio è la percezione di una promessa. È una scintilla.”

In quest’ottica, forse, si potrebbe anche riformulare (come sempre Recalcati suggerisce) la figura e il ruolo del padre, questa figura oggi così assente ma la cui assenza rimane, anche nell’epoca odierna, inaccettabile. Chi è il padre? Qual è l’eredità che può lasciare al figlio? Magari forse la cifra più vera della paternità è, oggi, proprio nella capacità di trasmettere il desiderio alle giovani generazioni. Trasmetterlo, cioè evocarlo e orientarlo; presentarlo come coniugazione (non antitesi) di legge e godimento, di principio di piacere e principio di realtà. E cercare il proprio desiderio, attendendo qualcuno che sappia liberarci dalla “notte dei Proci” (ovvero delle pulsioni cieche), è la vera eredità e la vera cifra dell’essere figli.

Prevenzione “work in progress”

In uno scenario sociale e giovanile in rapidissima evoluzione come quello odierno, anche la Prevenzione, per provare ad essere efficace, non può essere mai definitivamente acquisita e codificata ma deve tendere anch’essa ad essere, perennemente “work in progress”.

Provando a tratteggiare, in estrema sintesi, alcune linee odierne portanti, che si debba andare oltre alla mera informazione, oggi è un dato evidente. Tralasciando le centralità di approcci (che oggi vanno giustamente per la maggiore) di Life Skills Training, Resilienza e Peer Education, vorrei solo porre rapidamente l’attenzione ad un altro caposaldo che, sempre più, sta emergendo come valido approccio alla Prevenzione: i luoghi di buone pratiche. Sono questi dei luoghi in cui, per dirla con uno slogan, si può “passare dal capire per poi fare al fare per capire. O -meglio- fare insieme”. Luoghi dove poter fare innanzitutto “esperienza”: dall’implicito e concreto all’esplicito e verbale; luoghi dove i giovani, attraverso un mondo di relazioni con i pari possano giungere ad andare oltre la sensazione e arrivare a vivere relazioni anche con sé e con il mondo; luoghi dove, con il prezioso accompagnamento di adulti, i giovani imparino a “narrare” la loro storia, imparando a tessere (come per una collana) una sorta di filo tra le perle (le sensazioni e le emozioni) per non dissipare tutto.

Ci vorrebbero adulti affettivamente maturi, non seduttivi, capaci di accoglienza e di gratuità. Adulti autorevoli non perché depositari della Legge ma perché essi stessi per primi ricercatori e sottomessi alla Legge. Ma soprattutto adulti amanti del loro personale desiderio (vocazione) e perciò potenzialmente capaci di far ritrovare, ad un giovane, il suo desiderio. Perché, come dice Natalia Ginzburg: “Questa è forse l’unica reale possibilità che abbiamo di riuscir loro (agli adolescenti) di qualche aiuto nella ricerca d’una vocazione, avere una vocazione noi stessi, conoscerla, amarla e servirla con passione: perché l’amore alla vita genera amore alla vita”.

E adulti capaci di speranza. Perché “se non si è in grado di presidiare la speranza allora è meglio tirarsi in disparte, poiché un adulto disperato è un killer di adolescenti” (Gustavo Pietropolli Charmet).

Bibliografia

Bauman Zigmunt: Modernità liquida, Giuseppe Laterza & Figli Edizioni

Benasayag Miguel, Schmit Gerard: L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli Edizioni

Bernays Edward Louis: Propaganda. Della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia, Fausto Lupetti Editore

Blanchot Maurice: L’attesa, l’oblio, Guanda Editore Milano

Cantelmi Tonino: Tecnoliquidità, San Paolo Edizioni

CENSIS: 44° Rapporto sulla situazione sociale del paese

Citati Pietro: Gli eterni adolescenti, in la Repubblica, 2 agosto 1999

Freud Sigmund: Al di là del principio di piacere, Bollati Boringhieri Edizioni

Ginzburg Natalia: Pensieri per una buona educazione in In Dialogo – Azione Cattolica Ambrosiana

Giussani Luigi: Il filo del desiderio in : Certi di alcune grandi cose, BUR Edizioni

Lacan Jacques: Scritti, Giulio Einaudi Editore

Nietzsche Friedrich Wilhelm: Così parlò Zarathustra, Newton Compton Editori

Nietzsche Friedrich Wilhelm: Ecce homo, Newton Compton Editori

Pietropolli Charmet Gustavo: I nuovi adolescenti, Cortina Raffaello Edizioni

Recalcati Massimo: Ritratti del desiderio, Cortina Raffaello Edizioni

Recalcati Massimo: Il complesso di Telemaco, Feltrinelli Edizioni

Risè Claudio: Il padre, l’assente inaccettabile, San Paolo Edizioni

Sartre Jean-Paul: La nausea, Giulio Einaudi Editore

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