Sessione parallela 4. Riabilitazione ed età della vita, tra assistenza e cura: paziente e integrazione

Interventi: A. Pellegri, P. R. Cavalleri. Contributi: A. Colombo. Coordinamento: D. D’Onofrio, S. Zini

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I. Usiamo il termine “riabilitazione” per indicare una serie di processi complessi, che – per rispondere a bisogni molto diversi fra loro – applichiamo a situazioni eterogenee che incontriamo nelle differenti età della vita. Ciò che lega tra loro i vari processi riabilitativi è lo scopo che ciascuno di essi si prefigge: condurre il soggetto – per quanto possibile – all’acquisizione o alla ri-acquisizione di competenze e abilità che gli altri soggetti, generalmente, posseggono, mentre essi non sono riusciti ad acquisire spontaneamente o le hanno perdute.

II. I processi riabilitativi si situano sempre al confine della cura, perché seguono o precedono l’intervento più strettamente terapeutico: lo seguono per completarlo, attraverso l’ingaggio attivo del paziente, o lo precedono per renderlo possibile, perché la terapia è condizionata dal sorgere, nel soggetto, di una domanda di cura la cui presenza non è scontata.

Vi è anche un altro senso che ci induce a porre la riabilitazione al confine della cura: essa, infatti, oltrepassa lo spazio chiuso e perfino sterilizzato che prevede le due sole posizioni del curante e del curato, e si gioca, invece, nel campo aperto che sta in continuità e contiguità con gli spazi e le presenze della vita quotidiana, con la complessità comportata dalla contaminazione tra i differenti mondi a cui il soggetto ugualmente appartiene, ciascuno portatore di proprie e specifiche esigenze che, nel processo riabilitativo, si incontrano o si intersecano.

III. Trattandosi di un processo – ossia di un percorso che non si compie istantaneamente, ma che richiede tempo – ogni pratica riabilitativa mette in gioco almeno due fattori: il primo, specifico per ciascuna di esse, consistente nel lavoro su una o poche funzioni tra loro collegate, il cui miglioramento costituisce il target, in qualche modo misurabile, dell’intervento; il secondo, comune a tutte, consistente nel rintracciare, attivare e sostenere, in ciascun potenziale candidato, la motivazione ad investire le proprie energie nel percorso che viene proposto e a mantenerle per tutto il tempo occorrente.

IV. Nel Convegno in cui si incontrano operatori del campo cosiddetto “psico-sociale”, questa sessione vuole costituire un’occasione per riflettere sulle pratiche riabilitative che condividono il fatto di essere rivolte a soggetti in cui è la stessa motivazione che deve essere ri-abilitata, affinché il target specifico di ciascun percorso riabilitativo possa essere raggiunto.

Domande:

  • La riabilitazione dei bambini con disabilità motorie, cognitive e psichiche implica necessariamente la restitutio ad integrum oppure lo scopo preminente consiste nell’aiutare questi bambini e i loro genitori a vivere la condizione di disabilità e nell’aiutarli a scoprire come viverla?
  • Qual è il ruolo dei familiari nella riabilitazione dei minori?
  • La disabilità psichica (dgs, autismo) richiede un approccio differente da quello richiesto per condurre il lavoro riabilitativo nel caso degli altri tipi di disabilità (sensoriale, motoria)?
  • Come porre l’intervento riabilitativo quando la domanda di trattamento non è avanzata dal soggetto, ma è sostituita dal mandato sociale (ad esempio: l’ordinanza di un magistrato)?
  • Come è possibile coinvolgere nel lavoro riabilitativo un soggetto che apparentemente non avverte il peso di una disabilità, il desiderio di acquisire una competenza o l’esigenza di cambiare?
  • Come trovare l’equilibrio tra la visione della riabilitazione come applicazione di procedure standardizzate, validate su grandi numeri, e la personalizzazione dell’intervento finalizzata ad ingaggiare il singolo soggetto nel percorso che a lui è possibile?
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