I convegni di medicina e persona dedicati all’operare psicosociale: uno sguardo retrospettivo sintetico a 10 anni dagli esordi – Saverio Palumbo

Saverio Palumbo – Dirigente psicologo-psicoterapeuta, ASST Vimercate

Correspondence to: – saverio-p@libero.it

To cite: S. Palumbo – I convegni di medicina e persona dedicati all’operare psicosociale: uno sguardo retrospettivo sintetico a 10 anni dagli esordi JMP 2017;1:14-15

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Volgeva al termine l’anno 2006 e in un freddo clima novembrino un gruppo di operatori legato all’Associazione “Medicina & Persona” provò a riunirsi ospitati dall’Abbazia di Maguzzano sita nel comune di Lonato (BS), mossi dall’esigenza di confrontarsi con le problematiche più avvertite dell’agire professionale nell’ambito della salute mentale e sociale. Di quel primo incontrarsi dal titolo ambizioso “LAVORO INNOVATIVO PER LA SALUTE MENTALE: TRA ESPERIENZE E PROGETTI”, purtroppo non sono stati pubblicati gli atti, tanto era ritenuto informale dagli stessi promotori e partecipanti, ma è rimasta traccia anche sul sito dell’associazione della dichiarazione d’intenti che ha messo in movimento i primi:

– l’esigenza di elaborare un giudizio sull’attuale realtà socio-culturale con le sue ideologie e di sviluppare delle posizioni originali sui temi che più provocano la nostra esperienza; 

– la richiesta di rendere più organico e operativo il collegamento tra le persone per affinità e/o per interessi specifici, anche come occasione di formazione; 

– l’impegno per la revisione della pratica di lavoro: ad es. sulla psichiatria territoriale o di comunità, sull’efficacia dei trattamenti, su altri argomenti proposti dalle diverse professioni; 

– la possibilità di realizzare uno scambio fruttuoso tra opere e operatori dei servizi e di condividere un lavoro di rete sociale con i familiari, le associazioni, la gente comune.

Nella sostanza a 10 anni di distanza si può affermare che i convegni organizzati a cadenza biennale hanno provato a rimanere fedeli agli scopi messi a fuoco in quell’iniziale radunarsi. A riguardo dell’aiuto allo sviluppo di un giudizio culturale sull’attualità dell’operare sarebbe da affermare che è emersa nel corso del tempo una coralità di giudizi, talvolta di difficile armonizzazione, ma sempre all’interno di un clima di reciproca stima che tende a valorizzare il tentativo di chiunque. Il collegamento tra le persone per affinità professionale e interessi specifici è stato favorito dalla stessa organizzazione periodica dei convegni e dal ritrovarsi per gruppi allo scopo di approfondire aspetti emergenti dei convegni che catturano la sensibilità professionale peculiare, come ad esempio il dolore innocente dell’infanzia per gli operatori dell’area dell’età evolutiva; talvolta tale lavoro è diventato pubblico con l’organizzazione di seminari tematici nel periodo intermedio tra convegni. Ciò ha potuto portare alla revisione della pratica di lavoro, ma sempre in un alveo di libertà che ha visto il singolo operatore o il piccolo gruppo responsabilmente protagonista del tentativo, con l’attenzione a comunicarlo a chiunque si mostrasse interessato. La condivisione del bisogno che è giunto fino alla messa in campo di opere strutturate ha sempre trovato spazio nei periodici simposi, specie nella sezione dei poster, dove sinteticamente vengono presentati gli scopi, i metodi e, perchè no, gli esiti positivi che il mettersi insieme in funzione dell’organizzazione di una risposta al bisogno procura.

Nel 2008, oramai in piena era ratzingeriana e ispirati dalla seconda enciclica papale “Spe salvi” promulgata nel novembre dell’anno precedente con parti significative dedicate alla sofferenza psichica, venne messa a tema proprio tale virtù: “LA SPERANZA E LA CURA. Lavorare per la salute mentale, nei diversi ambiti ed età. Fondamenti, criticità, domande”. Mese prescelto ancora novembre in località Abano Terme (PD).

Dalla speranza il discorso si ampliò a tutti quei fattori che possono incidere sull’operare psicosociale, e ancora più latamente socio-sanitario, strettamente parlando non ritenuti attinenti alla tecnica professionale e di solito snobbati dalla riflessione convegnistica e non solo. Tale allargamento della ragione, espressione molto cara a Benedetto XVI, portò a “IL FATTORE UMANO. L’incontro tra paziente e operatore, la speranza, i modelli psico-sociali di cura”. Per la prima volta si anticipò al mese di ottobre e la location diventò Peschiera del Garda (VR). Evidente anche nel titolo il richiamo ancora alla speranza, segno dell’inesauribiltà e del fascino dell’argomento; alle sessioni parallele nel loro insieme venne dato un titolo suggestivo “La speranza all’opera”.

Dal Veneto all’Emilia Romagna; lo scenario nel 2012 fu ancora una nota località termale, Tabiano Terme (PR), confermato il mese di ottobre. A partire dall’ampio scenario del precedente, questa volta ci si concentrò su un tema specifico molto sentito, tanto necessario quanto complicato da attuarsi nelle circostanze concrete: il lavoro d’équipe. Bellissimo il motto prescelto, tratto da una commedia di Plauto “nemo solus satis sapit”, nessuno da solo sa tutto, è sazio di tutto, è autosufficiente nella conoscenza come nell’azione. Da tale realistica constatazione l’umiltà di mettersi insieme, per quanto faticoso possa risultare: “UN CONOSCERE CONDIVISO. Il lavoro sanitario e psico-sociale in équipe”.

Si giunse così al 2014 in Brianza, esattamente a Triuggio (MB), sempre in ottobre. Lo spunto fu tratto dall’anno precedente, ricorrenza centenaria di quel fondamentale testo delle nostre discipline che è Psicopatologia generale di Karl Jaspers, colui che portò l’approccio fenomenologico in psichiatria e quindi l’attenzione alla soggettività cosi come essa si presenta senza ulteriori mediazioni e interpretazioni, sia dell’operatore che della persona sofferente e di chi con la stessa condivide lo stato di dolore. A tema quindi IL SOGGETTO E I PERCORSI DI CURA.

Ma esiste un tema conduttore che lega tutto il decennale percorso? Sicuramente sì e si focalizza nella parola “cura”, il filo rosso che viene di volta in volta dettagliato e fatto interagire con i vari aspetti della realtà operativa. In alcuni casi viene ben esplicitato come nel 2008 e 2014, negli altri casi è sottinteso, ma sempre ben tenuto presente, sia a Maguzzano nel lavoro innovativo (di cura) per la salute mentale, che a Peschiera quando si esplicitano i fattori umani (incidenti nella cura), che a Tabiano Terme (come si cura insieme?).

Appare quindi appropriato concludere questa breve disamina con il tentativo di andare a ricercare nell’etimologia del termine l’esperienza originaria sottesa e che ancora sostanzia, magari inconsapevolmente, la cura all’opera proposto dalla professoressa Maiocchi nel convegno del 2008 (v. Atti, pag. 56), da cui si coglie anche lo scarto (una delle parole-chiave dell’attuale edizione che oggi pomeriggio inizia) sempre presente, mai completamente evitabile, tra impegno curativo ed esito dello stesso.

… E la cura? Avere cura, prendersi cura: sublime ambiguità: un avere che è un dare… Etimo incerto di un termine di antichissima radice (KwEI, indoeuropea), che implica essere inquietati (dall’altro), e dunque implica presenza dell’altro, presenza che inquieta, che si fa sentire, che provoca, e dunque originariamente legame, proprio perchè non è pacifico. 

Da qui viene anche curiosus: il curioso si prende cura di qualcosa che (non …) lo riguarda … Cura dice – dunque – anche ricerca, invenzione, orientamento inatteso, sporgersi imprevisto sull’altro… La curiosità implica un sapere trovato, inaspettato, un sapere in-sperato, atteggiamento più che azione mirata, apertura verso il nuovo. 

Ma anche – come ‘curarsi di’ – cura è mantello che copre, cibo che riscalda, accudimento di qualcuno che dipende da un altro cui si affida, provvisoriamente. La cura del resto avviene secondo un certo tempo. Il suo effetto – un certo cambiamento – ne è un esito, atteso forse, ma non puramente incluso nelle sue premesse: la cura si produce come qualcosa di gratuito, non deducibile, in fondo non prevedibile, rispetto all’azione.

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