La cura della differenza – Eugenia Scabini

Eugenia Scabini. Professore Emerito di Psicologia Sociale, Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Correspondence to: eugenia.scabini@unicatt.it

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1. La relazione uomo/donna come reciprocità generativa.

Nel titolo la parola differenza è singolare perché allude alla differenza radicale dell’umano quella tra l’uomo e la donna. Differenza di genere e di generazione attraversano al fondo l’umano e sono tra loro profondamente connesse perché la differenza di generazione, proviene dal rapporto/unione tra l’uomo e la donna. Approfondire il significato di questa differenza non è cosa da riservare a qualche esperto di famiglia ma tocca tutti noi, la nostra stessa umanità, perché, come dice Papa Francesco: “come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza?” (1).

In un contesto come quello odierno di grande confusione su questo tema vale la pena di dedicare qualche parola sul significato profondo della differenza.

Differenza non va confusa con diversità. Come spesso ci ha illustrato il Cardinal Scola (2) la differenza è strutturalmente correlata con identità e implica lo stare in unità di aspetti distinti ma profondamente connessi tra loro.

La diversità invece si correla con uguaglianza/disuguaglianza e ha a che fare con la pluralità.

I due termini oggi sono spesso confusi e si mette sullo stesso piano la differenza uomo/donna con altre forme di diversità quali la diversità etnica, religiosa…

In breve la differenza sessuale non è semplicemente una diversità biologica tra l’uomo e la donna o una differenza di ruoli ma una caratteristica che tocca la totalità dell’essere umano. Essere uomo o donna caratterizza la mia identità in tutti i suoi aspetti.

L’umanità vive al maschile e al femminile e questa differenza è insuperabile anche se entrambi, uomini e donne, partecipano alla identica umanità. Ciascun essere umano,uomo o donna rappresenta una forma di umanità in sé «perfetta” anche se non rappresenta tutta l’umanità che ha al suo interno anche l’altro modo di essere. Nella dottrina della Chiesa c’è un recepire le istanze positive del cosiddetto pensiero della differenza praticato da una certo tipo di femminismo. La concezione cristiana tiene compresenti sia la differenza (corporea, spirituale e culturale), costitutiva dell’essere uomo o donna, che la loro partecipazione all’ identica umanità.

La differenza radicale uomo donna è, da questo punto di vista, un enigma o meglio un mistero, un mistero drammatico perché non è adeguato concettualizzarla come una pacifica reciprocità simmetrica (come sostiene Aristofane nel Simposio di Platone che la concepisce come due metà destinate a fondersi per ricomporre la perduta unità originaria, l’androgino) né come semplice complementarietà. È piuttosto una reciprocità asimmetrica fatta di una tensione costitutiva che spinge entrambi andare oltre a sé nella realizzazione di un progetto generativo di cui il figlio è l’emblema.

Giovanni Paolo II (3) ha addirittura inventato una nuova espressione “unidualità relazionale” per indicare questo mistero dell’umanità che è una, ma presente in due forme che reciprocamente si cercano mantenendo la loro specificità originaria.

Ecco allora il senso del prendersi cura della differenza, un modo di dire che dà voce alla relazione tra l’uomo e la donna lasciando per così dire intatta la differenza e la sua carica di apertura tensionale che ci salvaguardia dal tentativo fallimentare di mascolinizzare il femminile o femminilizzare il maschile per trovare l’intesa.

L’ io è “persona” ha una natura relazionale, abbisogna dell’altro per il suo compimento, si realizza se con lui genera.

Possiamo così dire che la caratteristica più propria dell’uomo e della donna è la spinta generativa che essa contiene. Gli esseri umani sono dei “generanti”, capaci e fatti per generare. Generare un nuovo essere umano, prendendosene cura e rilanciando attraverso di lui il patrimonio genetico/simbolico dei suoi generanti e delle loro stirpi di appartenenza o comunque, e analogicamente, costruire insieme, uomini e donne, la storia, il bene della società, far fruttare, rendere fecondo il creato. È il compito che Dio aveva espresso all’origine quando nella Bibbia parla di “procreare e dominare e assoggettare la terra”. Il concetto di generatività e in particolare di generatività sociale, che trovate ampiamente espresso nel modello relazionale simbolico, che ho messo a punto con Vittorio Cigoli, esprime questa idea in termini psicologici, di clinica sociale (4, 5).

Il tema della trasmissione del patrimonio genetico/simbolico tra le generazione è perciò cruciale e con esso la valorizzazione della differenza tra le generazioni chiamate ad innovare, rinnovare, ri-generare le radici da cui provengono.

2. Il rischio degenerativo odierno.

Che ne è oggi della potenza e ricchezza di questa cura della differenza?

Essa pare indebolita e confusa e, soprattutto l’Occidente, pare percorrere altre strade e valorizzare invece l’omologo fino a richiedere con forza il riconoscimento di una sua “naturalmente” impossibile fecondità (6,7).

Possiamo identificare parecchie forme di indebolimento o addirittura di annullamento della differenza e quindi di perdita di generatività.

Vi è una perdita di generatività quando il figlio non è vissuto come un generato, una nuova generazione fatta per rinnovare il patrimonio genetico-simbolico delle radici da ciò proviene, ma piuttosto vissuto come prolungamento/rispecchiamento dei genitori o addirittura di un solo membro della coppia, spesso divisa.

È Il figlio del desiderio, come ha ben detto ormai anni fa Daniel Marcelli (8), che viene vissuto dai genitori come un concentrato emozionale, gravato dal compito di riempire il vuoto di senso della loro vita.

E ciò è rischio corrente della coppia odierna che fa pochi figli,li cura, spesso soffocandoli. La generatività vive del dar vita, curare e saper lasciar andare, lanciare in avanti, trasferendo, tra-mandando, promuovendo il passaggio del patrimonio dai generanti ai generati, i quali a loro volta sono chiamati ad essere protagonisti del passaggio ri-generando il patrimonio ricevuto.

Oggi siamo in difficoltà nel mantenere questo dinamismo. Nel generare c’è sempre una componente di continuità di sé ma perché essa sia pienamente umana occorre che l’altra generazione abbia il suo spazio, sia riconosciuta nella sua differenza, sia appunto promossa e non sia solo il contenitore del desiderio altrui.

Oggi molto spesso è il desiderio/diritto dell’adulto a farla da padrone a dispetto di tanta retorica sul prioritario interesse del minore.

Un sintomo di tutto questo lo vediamo nel diritto del figlio a tutti i costi per il quale si percorrono strade che non possono non interrogarci profondamente.

Tramite la tecnologia procreativa è infatti possibile dar vita ad un bambino anche quando la coppia è strutturalmente infeconda come nel caso estremo della coppia omogenere o, per la coppia eterosessuale, aggirare l’infertilità facendo ricorso all’eterologa o ad altre tecniche che vengono messe a punto con spregiudicata inventiva.

E in questi casi la differenza sessuale non scompare perché in ogni caso non si produce vita se non facendo ricorso al femminile e al maschile ma va sullo sfondo, nell’anonimato di un seme maschile comperato, o addirittura per così dire si moltiplica dividendosi, fino al caso dell’utero in affitto (ma anche seppur in modo meno estremo nel caso dell’ovodonazione) dove la figura materna va letteralmente a pezzi, suddivisa in madre donatrice e madre gestazionale. E anche qui mi pare molto opportuno l’invito di Papa Francesco quando, a proposito dello sviluppo delle nuove tecnologie che rendono possibili pratiche talvolta in conflitto con la vera dignità della vita umana, dice: “vi esorto a frequentare coraggiosamente queste nuove e delicate implicazioni senza cadere nella tentazione di verniciarle, di profumarle e di addomesticarle” (Ibidem n.2).

E allora forse val la pena di ripercorrere la strada dell’infertilità, del suo dramma, e dello scontro tra il desiderio procreativo e il bisogno di identità del generato.

E ciò non tanto per uscire dal dramma della infecondità che può rimanere anche insoluto, ma per aiutarci a percorrere strade che possano essere adeguate al compito di umanizzazione tipico del generare umano.

3. Prendersi cura del generato.

Quale via allora seguire per recuperare il senso profondo della fecondità della differenza?

Credo sia oggi più opportuno partire dal generato e delle sue caratteristiche tipicamente umane, di piccolo dell’uomo piuttosto che partire dal desiderio degli adulti che appare troppo spesso in forme equivoche.

Quali le caratteristiche peculiari del generato, del piccolo dell’uomo a differenza del cucciolo di animale frutto di riproduzione più che di procreazione o di generazione?

Il generato umano non viene al mondo come un anonimo essere vivente che esaurisce la sua funzione nel perpetuare la specie (come avviene nella riproduzione animale), ma ha valore in se, è unico ed irripetibile, è identificato e riconosciuto. Ha un nome. A differenza del cucciolo che ha un legame a tempo con chi l’ha messo al mondo (e soprattutto con la figura di attaccamento materna), perché tale legame si scioglie quando egli raggiunge l’autonomia, il piccolo dell’uomo è legato per tutta la vita ai suoi generanti. Non solo,a differenza del cucciolo d’animale che non sa, né riconosce i suoi antenati e non è da essi riconosciuto, sa risalire lungo le generazioni perché i suoi generanti sanno di essere generati.

In breve non è un prodotto, è una persona che vive anche psichicamente in quanto è riconosciuta dai suoi generanti e ha un posto nelle storia delle generazioni sia del ramo materno che paterno.

E così il generato ci costringe a prendere sul serio la differenza di genere dal cui congiungimento egli ha nascita. Se non può riconoscere la relazione di cui è frutto sarà per lui drammatico costruire la sua identità. Non è solo questione del bisogno di avere una mamma e un papà, è ben di più. Se si troverà a vivere di un patrimonio genetico scisso da quello simbolico dovrà fare uno sforzo di ri-generazione assai arduo. Che ne sarà perciò della condizione dei bambini figli di patrimoni genetico-simbolici confusi o oscuri?

Abbiamo un esempio del dramma dell’origine ignota e oscura attraverso l’esperienza dell’adozione che vede i bambini, pur accolti in famiglie amorevoli è pur in presenza di relazioni uomo/donna positive, faticano non poco, soprattutto in adolescenza quando il problema dell’identità si fa più pressante, a riannodare i fili della loro storia.

Ma in questo caso, è bene ribadirlo, gli adulti non hanno fatto la scelta di mettere il bambino in questa situazione di oscurità di origine, hanno invece offerto con la loro presenza una possibilità rigenerativa ad una situazione di abbandono. É il caso di una infertilità sofferta che si apre ad un›altra sofferenza con la fiducia che questo congiungimento produca il suo frutto di nuova fecondità.

Che dire invece della scelta, oggi non così rara, e comunque in espansione nell’Occidente postmoderno, di affrontare il dramma dell’infertilità seguendo la via delle tecnologie riproduttive, soprattutto di quelle che utilizzano materiale genetico diverso da quello della coppia per generare?

Dobbiamo porci, la società deve porsi, con responsabilità, questo problema e avere il coraggio di guardare in faccia ai rischi connessi a questa scelta.

Da qui, però, viene anche un compito che riguarda tutti ma in particolare gli operatori psico-socio-sanitari. Essi sono chiamati a prendersi cura di queste nuove frontiere di sofferenza.

Bibliografia

1. Papa Francesco, Udienza alla comunità Accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia, 27 ottobre 2016,N. 2.

2. Angelo Scola, Il Mistero Nuziale 1.Uomo-Donna, Roma,Ed. LUP, 2005.

3. Giovanni Paolo II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II alle donne, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, 9 giugno 1995, N. 8.

4.Scabini E., Cigoli V., Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Milano, Raffaello Cortina, 2000.

5. Scabini E., Cigoli V., Alla ricerca del famigliare. Il modello relazionale-simbolico, Milano, Cortina, 2012.

6. Cigoli V., Scabini E., Sul paradosso dell’omogenitorialità, Vita & Pensiero, Milano, 3 Maggio Giugno 2013 Anno XCVI, pp. 101 – 112

7. Cigoli V., Scabini E., Sacro e tragico familiare: il caso delle omogenitorialità, in Cattaneo E. (a cura di), Omogenitorialità: le differenze tra gli uguali, Quaderni de gli Argonauti, n. 27 – giugno 2014, pp. 17-32.

8.Marcelli D., Il bambino sovrano.Un nuovo capo in famiglia?, Milano, Raffaello Cortina Editore,2004.

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