Lo stato dell’arte nei percorsi di cura per le patologie psichiche: dalla prevenzione alla diagnosi ai trattamenti psico-socio-farmacoterapeutici

Antonio Lora – Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale ASST Lecco

scarica il pdf

La mia presentazione sarà così articolata:

1) all’inizio chiariremo il significato di alcune parole chiave che utilizzeremo nelle slide successive

2) in seguito parleremo della qualità della sua valutazione all’interno dei servizi di salute mentale

3) quindi passeremo ad occuparci dei percorsi di cura nei disturbi mentali gravi edel loro monitoraggio, cioè di come è possibile valutare la qualità dei percorsi di cura nei disturbi mentali gravi.

Il primo termine che vorrei chiarire è “accountability”. Con esso gli anglosassoni intendono definire la responsabilità, da parte degli amministratori che impiegano risorse finanziarie pubbliche, di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti sia su quello dell’efficacia della gestione. In ambito sanitario spesso prevale una tendenza all’autoreferenzialità, mentre sarebbe utile, ed etico!, rendere conto ai cittadini/utenti dell’uso che si fa delle risorse.

Passiamo quindi a definire cos’è il “benchmark”, termine con il quale si intende il confronto di un servizio o di una prestazione mediante opportuni indicatori con i risultati prodotti da organizzazioni simili, in particolare da quelle più affermate e prestigiose. Da questo confronto possono nascere azioni migliorative, importando le procedure più efficaci dalle organizzazioni più eccellenti

Procediamo. Cosa intendiamo più precisamente per Valutazione? Una buona definizione è la seguente: “confronto sistematico tra ciò che viene fatto e quanto si dovrebbe fare” (è quindi necessario stabilire in precedenza secondo quali criteri e con quali standard).

Altra parola chiave da definire: Indicatori clinici. Gli indicatori sono variabili ad alto contenuto informativo, che consentono una valutazione sintetica di fenomeni complessi e forniscono gli elementi necessari ad orientare le decisioni.

Sono stati selezionati indicatori per monitorare i percorsi e verificare la distanza tra percorso ottimale e percorso reale, focalizzati sulla qualità tecnica della cura piuttosto che sull’utilizzo dei servizi o sui costi. Pongono attenzione a uno specifico fenomeno clinico o assistenziale, indicando potenziali problemi. Sono stati ricavati da Raccomandazioni tratte dalla letteratura scientifica. Inoltre sono costruiti in modo tale da potere utilizzare banche dati amministrative, quindi presupponendo una grande economicità.

Ma perché misurare la qualità della cura? Perché è interessante e importante farlo?

Per diversi motivi. Innanzitutto perché la nostra conoscenza della qualità della cura è limitata. Inoltre bisogna prendere atto del fatto che la variazione della qualità della cura tra le diverse Regioni e tra i singoli DSM è la regola piuttosto che l’eccezione: questo è conseguenza del fatto che è assente una strategia di implementazione di indicatori che valutino la qualità.

Come vengono costruiti e come possono essere utilizzati gli indicatori per la qualità?

Consideriamo ad esempio quanti pazienti all’interno dei servizi ricevono un trattamento minimamente adeguato. Per “trattamento minimamente adeguato” abbiamo usato la definizione di Wing, che ritiene che ci debbano essere almeno due mesi di trattamento con farmaci specifici, oppure quattro visite da parte dello specialista psichiatra, oppure almeno otto sedute di psicoterapia.

Ebbene, utilizzando questa definizione, si evince che il 55% dei pazienti affetti da schizofrenia, il 47% dei pazienti affetti da disturbo bipolare ed il 58% dei pazienti affetti da depressione non ricevono un “trattamento sufficientemente adeguato”!

Se consideriamo invece la dimensione della continuità della cura, prendendo come indicatori quanti pazienti vengono visti almeno una volta al mese dopo la dimissione dall’SPDC, oppure quanti pazienti vengono visti almeno entro 15 giorni dalla dimissione dall’SPDC, osserviamo una grande varietà di risultati, di differenze da un’unità operativa all’altra. Lo stesso dicasi in riferimento all’indicatore “quanti pazienti all’esordio di una grave patologia psichica sono in trattamento psicoterapeutico” intendendo che vengono visti almeno tre volte nell’arco di due mesi.

Da questi semplici, ma significativi esempi, si evince che esiste quindi un grave problema di difformità nella qualità dei trattamenti erogati nei diversi servizi. Il primo passo per innescare processi di cambiamento è conoscere l’esistente, quindi fotografare quello che accade è importantissimo per procede ad un miglioramento dell’assistenza.

Passiamo a considerare ora i percorsi di cura. Cosa si intende con questa espressione?

Possiamo definirli come strumenti di gestione clinica finalizzati a fornire ai pazienti interventi di provata efficacia attraverso una sequenza logica di azioni in un tempo ottimale. Sono stati sviluppati soprattutto per il governo clinico di diagnosi frequenti, costose e connesse ad alti rischi per la salute del paziente.

I principi chiave che li ispirano sono la centralità del paziente, l’integrazione multi professionale, la pratica basata sull’EBM ed il miglioramento continuo della qualità.

In che relazione si pongono con le più note “linee guida?”

Le Linee Guida sono essere definite come raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici, pazienti e manager nel decidere le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche.

I percorsi di cura costituiscono, insieme alle Linee guida, strumenti del governo clinico che consentono di definire standard assistenziali e di verificare l’appropriatezza dell’assistenza erogata. È attraverso il percorso di cura che otteniamo la contestualizzazione delle raccomandazioni delle linee Guida, relative ad una patologia o problematica clinica, all’interno di una specifica realtà organizzativa, tenute presenti le risorse ivi disponibili e le circostanze locali.

I percorsi di cura si pongono diversi obiettivi:

• ridurre la variabilità dei trattamenti,

• migliorare la qualità dei processi e degli esiti,

• coordinare e integrare i professionisti e i servizi nella risposta alla domanda di assistenza

• identificare correttamente le risorse necessarie

• rendere misurabile ciò che si fa

• rendere trasparente all’esterno il percorso previsto

• valutare l’aderenza degli interventi effettuati nella realtà dei DSM alle indicazioni dei percorsi di cura, evidenziando le aree di criticità.

Ma perché vale la pena di sviluppare percorsi di cura anche nell’ambito della salute mentale?

Alla luce di quanto appena affermato, direi principalmente per tre ragioni:

1) in salute mentale lo sviluppo di percorsi di cura è ancora più necessario che in altre aree della medicina in quanto la variabilità dei trattamenti risulta molto pronunciata;

2) sono presenti consistenti problemi clinici e psicosociali che necessitano di interventi articolati e complessi;

3) esiste la necessità di garantire la continuità delle cure e l’integrazione tra le diverse figure professionali e le diverse strutture.

Nell’ambito della salute mentale i percorsi di cura sono stati organizzati per fase di malattia, considerando per ogni patologia tre momenti critici:

a) presa in carico precoce

b) gestione della fase acuta

c) trattamenti continuativi e a lungo termine, che implicano sia interventi mirati alla promozione del recupero psicosociale, sia interventi specifici sulla compromissione di funzioni e abilità.

È stato stabilito che gli indicatori dedicati alla presa in carico precoce dovranno monitorare le seguenti aree e perseguire i seguenti obiettivi:

• continuità della cura tra Psichiatria e NPIA

• presa in carico del paziente all’esordio e dei suoi familiari attraverso una serie continuativa ed intensiva di contatti a livello territoriale

• valutazione multi professionale dei problemi clinici e psicosociali del paziente e della sua famiglia

• interventi di natura multi professionale anche nel contesto di vita del paziente

• routinariamente interventi psicoeducativi e psicoterapici; se compromissione del funzionamento personale e sociale di livello moderato/grave, interventi riabilitativi e di supporto al lavoro e allo studio, basati sulle evidenze

• trattamento continuativo con farmaci antipsicotici, monitorando in modo attento la sicurezza dei trattamenti psicofarmacologici.

In riferimento invece alla gestione della fase acuta si potranno prendere in considerazione le seguenti aree ed obiettivi:

• Limitazione del ricorso al TSO ed evitare episodi di contenzione a fronte di eventuali comportamenti agitati/violenti.

• Degenza limitata nel tempo e attenzione ad evitare riammissioni

• Dosaggio appropriato di farmaci antipsicotici per almeno 1 – 2 anni e se interrotti monitoraggio clinico di eventuali ricadute per 2 anni.

• Attenzione alla sicurezza dei trattamenti psicofarmacologici

• Nei pazienti con schizofrenia resistente trattamento con clozapina

• Trattamento con farmaci antipsicotici depot per i pazienti con ricadute frequenti

• Alla dimissione in tempi brevi un appuntamento in CSM e cura intensiva a livello territoriale nel periodo che segue l’episodio acuto. Nei pazienti con ricadute frequenti revisione del programma di cura all’interno dell’equipe multidisciplinare del CSM o dell’equipe congiunta CSM – SPDC.

La dimensione dei trattamenti continuativi e a lungo termine potrà invece essere monitorata con indicatori mirati a queste problematiche:

• Trattamento continuativo di natura multiprofessionale

• Se, accanto ai problemi clinici, sono presenti compromissioni di funzioni e abilità, problemi relazionali, carenza di supporto e di attività strutturate nella vita quotidiana, piano di trattamento individuale (PTI) e case manager.

• Contatti regolari con i familiari dei pazienti

• Ai pazienti, ed in particolare a quelli con frequenti ricadute, e alle loro famiglie sono erogati interventi di carattere psicoeducativo; e, quando appropriato, trattamento psicoterapico.

• Nel caso di abuso/dipendenza da sostanze a livello moderato /grave valutazione e presa in carico congiunta con SERD

• Trattamento continuativo con farmaci antipsicotici in monoterapia e con un dosaggio all’interno del range terapeutico, e nei casi di schizofrenia resistente viene offerto un trattamento con clozapina.

• Monitoraggio della sicurezza dei trattamenti psicofarmacologici.

• Ai pazienti con ricadute frequenti offerto un trattamento con farmaci antipsicotici depot,

• Nel caso che il paziente interrompa il trattamento farmacologico, il CSM mantiene contatti clinici regolari nel periodo seguente l’interruzione del trattamento e si attiva per ricontattare il paziente in caso che questi interrompesse completamente i contatti con il DSM.

• In collaborazione col medico di medicina generale viene fatto un regolare monitoraggio della salute fisica e degli stili di vita.

• Sono offerti gruppi di self-help e di supporto tra pari

• Monitorare le conclusioni non concordate del trattamento, i decessi e i suicidi dei pazienti seguiti dal DSM, insieme ad altri esiti sfavorevoli quali essere senza casa ed essere sottoposti a provvedimento penale.

Penso sia utile mostrare ora a titolo di esempio alcuni indicatori ed i loro valori ricavati da una ricerca effettuata in regione Lombardia nel 2009.

Nella Tabella 1 vengono presentati alcuni indicatori che fanno riferimento ai pazienti al primo episodio. Come primo dato viene considerata l’età media della presa in carico dei pazienti con disturbo all’esordio che vedete essere di 27,8 anni; un’età abbastanza avanzata visto che la letteratura ci dice che l’esordio di questi disturbi avviene più di 10 anni prima; questo sicuramente è un dato di criticità per i nostri servizi.

Il secondo indicatore che vi propongo invece dimostra una virtuosità dei servizi in quanto solamente nel 18% dei casi l’attesa per una prima visita nei CSM è superiore a sette giorni; poi vedete elencati tutti gli altri indicatori, molto interessanti in quanto facenti riferimento alla continuità della cura e alla varietà delle cure prestate.

Molto critico appare piuttosto il dato riguardante il numero di pazienti con disturbo all’esordio in trattamento psicoterapico: come vedete solamente il 23% di questi pazienti riceve almeno tre sedute nel giro di due mesi. Gli ultimi due indicatori dimostrano invece che è possibile monitorare anche le prestazioni farmacologiche. Il dato in questo caso è sicuramente sconfortante: emerge che solo l’11% dei pazienti aderisce alla farmacoterapia per almeno 180 giorni durante il primo episodio. L’ultimo indicatore invece è un esempio di come sia possibile valutare la sicurezza dei trattamenti.

La Tabella 2 invece illustra gli indicatori che fanno riferimento alla gestione della fase acuta e del periodo successivo alla fase acuta. Qui vedete per esempio l’interessante dato che indica che nel 52% dei servizi i pazienti ricevono una visita psichiatrica in CSM entro 14 giorni dalla dimissione dall’SPDC; questo è un importante indicatore che fa riferimento alla continuità di cura.

Nella Tabella 3 invece, che illustra gli indicatori che fanno riferimento al mantenimento e promozione del recupero, vediamo nella prima riga questo dato riferentesi al cosiddetto treatment gap; il treatment gap è una misura epidemiologica che dice quale proporzione della popolazione che ci si attende essere affetta da un determinato disturbo viene intercettata e seguita dai servizi; come vedete in riferimento alla schizofrenia questo dato in Regione Lombardia nel 2009 era del 40%. Un altro indicatore ci segnala che il 67% dei pazienti ha un contatto almeno ogni tre mesi nel corso di un anno, e che hanno una minimamente efficace intensità della cura nei servizi territoriali (cioè ricevono più di cinque interventi) il 67% dei pazienti.

Nella Tabella 4 vediamo invece elencati diversi indicatori che danno valori riferentesi alla gestione della terapia farmacologica e al monitoraggio della sicurezza dei trattamenti.

Dopo tutto questo elenco di dati proviamo a trarre delle considerazioni conclusive.

Innanzitutto ricordiamo che il documento Decision support 2000+ della Substance abuse and Mental health services administration affermava che la qualità dell’informazione determinerà la qualità della cura, cioè per avere servizi psichiatrici efficienti sarà necessario dotarsi di sistemi informativi in grado di fornire informazioni rilevanti per le decisioni riguardanti la pianificazione dei servizi. Questo può avvenire senza dispendio di risorse utilizzando le banche dati normalmente allestite per fini burocratico-amministrativi.

Purtroppo tutti ritengono utile misurare e valutare, ma nessuno vuole essere misurato e valutato. Occorre mutare l’atteggiamento di sospetto e di difesa degli operatori, e fare capire le potenzialità di questi modelli, volti a migliorare le pratiche, e non a individuare colpevoli o responsabili di disfunzioni ed errori.

Vorrei porvi un quesito, più volte trattato tra l’altro nell’ambito di congressi e attività di Medicina e Persona: l’attività clinica è un’attività di tipo artigianale o di tipo artistico? In altre parole: è lasciato spazio a un’attività creativa da parte dell’operatore o del professionista, oppure il professionista si deve soprattutto attenere a regole e pratiche condivise? Io mi permetto di dire che il medico è soprattutto un artigiano, cioè deve saper operare con perizia e con capacità applicando delle procedure o delle prassi che sono condivise e suggerite dalla comunità scientifica.

Insomma in un mondo così complesso come quello della salute mentale, dove esiste una grande eterogeneità di trattamenti e di modelli di riferimento, i percorsi di cura possono essere un supporto per le persone ad orientarsi all’interno dell’offerta dei servizi, oltre che un’opportunità per i servizi stessi di tendere il più possibile al miglioramento continuo della qualità del proprio operare.

“Il Soggetto e i Percorsi di Cura”. Presentazione del Convegno – Giorgio Cerati

Scarica il pdf

In continuità con i convegni “La speranza e la cura” (2008), “Il fattore umano” (2010) e “Un conoscere condiviso” (2012), rivolti agli operatori psicosociali e a chi a diverso titolo è coinvolto nel lavoro sanitario e assistenziale, Medicina e Persona propone – in collaborazione con la Diocesi di Milano – un’occasione ulteriore di riflessione sui nessi tra sapere scientifico e umanistico, tra competenze umane e tecniche nelle professioni e nelle pratiche per la salute, mettendo a tema il rapporto tra soggetti e percorso di cura.

Perché prendere in considerazione una proposta come questa?

L’importanza attuale del tema deriva da una parte dal rilievo epidemiologico crescente dei disturbi psichici, che secondo l’OMS rappresentano in Lombardia il 22% del carico totale legato alle malattie e alla disabilità, con picchi ancor più elevati nelle fasce d’età giovanili e nella depressione come prima causa di carico nella popolazione (superiore anche al disturbo ischemico cardiaco e ai disturbi cerebro-vascolari). Dall’altra, tutta la medicina necessita di un approccio non-meccanicistico, come osservava Sinagra nella bella intervista di Magris (Corriere della Sera, 11.9.14): “spesso noi medici parliamo di relazionalità, empatia, ascolto, senza poi metterli in atto e creando invece un paternalismo che guarda al paziente dall’alto in basso, rendendolo mero oggetto delle decisioni cliniche oppure affidandolo astrattamente alla standardizzazione dei percorsi, agli algoritmi, perdendo di vista l’individuo concreto e il suo vissuto, sempre unico e irripetibile”. 

Il pericolo attuale di una progressiva sottrazione delle competenze del soggetto si confronta dunque con la crescente tendenza e/o esigenza di standardizzazione delle pratiche in sanità.

Il Convegno prende le mosse dalle più recenti elaborazioni sui “percorsi di cura” nelle patologie mentali e sviluppa il tema del “soggetto”, che oggi rischia di essere considerato in termini progressivamente più riduttivi. Sono tematiche profondamente connesse, centrali nella problematica psico-sociale e nell’operare sanitario, sempre conteso tra rilievi oggettivi e componenti soggettive: la dinamica stessa della presa in carico del paziente si snoda sull’asse della relazione tra soggetti e si correla con la predisposizione di percorsi di cura definiti, non sempre adeguati all’irrompere di nuovi bisogni, che arrivano agli operatori sanitari spesso come emergenze e riguardano diverse condizioni di vita (giovani, sessualità, agiti violenti…). 

Attraverso le riflessioni di relatori di prestigio, attenti al desiderio e al dramma dell’uomo oggi, l’intento è di contribuire a poter di nuovo fondare relazioni di cura, di aiuto, di prossimità, di accoglienza, e parlare dell’io – il soggetto -, un io in rapporto con l’altro e con la propria libertà, capace di mobilitare le risorse creative e terapeutiche – i percorsi di cura – necessarie alle persone. 

Il Convegno, oltre a valorizzare la funzione della comunità, la partecipazione dei corpi intermedi e del terzo settore – ad es. con esperienze impegnate nell’assistenza, cura e riabilitazione di adulti e minori -, è aperto all’interesse di operatori professionali e non desiderosi di scoprire come ai fattori tecnici si associno quelli umani a elaborare e proporre validi modelli di intervento nell’affronto dei bisogni emergenti. 

Di qui il delinearsi del programma di queste giornate, i cui protagonisti sono tutti i presenti, grazie al clima di dialogo e di amicizia che caratterizza i nostri convegni e li rende realmente fruibili.

La sessione inaugurale prevede un Dialogo introduttivo ai lavori del convegno, animato da colleghi tra i più esperti e competenti quali Antonio Lora e Mauro Percudani, che moderati da Emiliano Monzani, lanciano uno sguardo su Lo stato dell’arte nei percorsi di cura per le patologie psichiche: dalla prevenzione alla diagnosi ai trattamenti psico-socio-farmaco-terapeutici. Affrontiamo così il tema dei percorsi di cura, primo aspetto da cui vogliamo partire. 

La prima sessione, venerdì 17 ottobre, è dedicata ad approfondire la tematica centrale della nostra riflessione, che focalizza alcune questioni sul soggetto. Il soggetto umano e la sua differenza, tra antropologia, fenomenologia e neurobiologia: la coscienza dell’io, l’intersoggettività, la clinica. Per svolgere la complessità, anche teorica, dell’argomento abbiamo chiesto l’intervento di personalità di assoluto valore nei loro rispettivi campi di interesse, certi di essere arricchiti dalla diversità degli approcci: Martin Echavarria, Leonardo Fogassi, Luigi Boccanegra, coordinati da Mario Binasco.

La sessione pomeridiana di venerdì porta la nostra attenzione inizialmente su aspetti di pregnante attualità sui quali le persone, gli operatori, i soggetti in campo si confrontano in continuazione e in termini impegnativi. Il ‘disagio della civiltà’ e della persona oggi, nella frequenza di agiti disperati, nella crisi del desiderio e dei legami familiari: dalla sofferenza alla domanda di cura, alle risposte possibili. Relatori di prestigio hanno accolto invito di contribuire a delineare i tratti sfaccettati del tema: Vittorino Andreoli, Giancarlo Ricci e Giancarlo Tamanza, con Eugenia Scabini a coordinare la sessione insieme a Gerardo Bertolazzi. 

Segue una Lettura Magistrale d’eccezione, sia nel metodo del dialogo, sia nel contenuto, con uno sguardo ecclesiale sulla cura proposto da Mons. Luca Bressan, che su indicazione dell’Arcivescovo Card. Scola ha dato tra l’altro un graditissimo contributo alla preparazione del convegno stesso.

Sabato 18 ottobre: la sessione conclusiva del convegno – aperta da due relazioni di sicuro interesse per la pratica di noi tutti, proposte da Paola Soncini e Bernhard Scholz, con il coordinamento di Lia Sanicola, Ambrogio Bertoglio e Marco Bertoli – rappresenta certo la testimonianza di un presente ricco di una fioritura di iniziative ma è anche fonte di speranza e di un’apertura al futuro. Infatti la Tavola Rotonda, i percorsi di cura, la relazione tra soggetti, la comunità: tra relazioni di prossimità, bisogno di significato e procedure di presa in carico, partendo da esperienze di realtà vive – quali Filo d’Arianna, Fondazione Don Gnocchi, Casa della Carità, Associazione iSemprevivi, Consultori per la famiglia, Progetto Dopo la Malaombra, Associazione Diversamente, La Nostra Famiglia, Fondazione As.Fra. – offre indicazioni per la strada da percorrere dopo il convegno, quella di approfondire il tema della cura. 

Di lì appunto prese la mosse la preparazione del Convegno 2016 La cura al confine. Le relazioni di cura tra incontro e cultura dello scarto (JMP 2017 – 1). 

 

Giorgio Cerati

“Il Soggetto e i Percorsi di Cura”. Prefazione – Gemma Migliaro

Scarica il pdf

La lettura delle relazioni svolte al Convegno Il soggetto e i percorsi di cura costituisce motivo di interesse per tutti gli operatori della sanità e dell’assistenza e offre la possibilità di approfondire in termini attuali la conoscenza del rapporto tra la “Medicina” e la “Persona”, tra sapere scientifico e competenze umane nel lavoro per la salute.

Il Convegno, tenuto a Triuggio dal 16 al 18 ottobre 2014, era nato con l’intento di partire dalle più recenti elaborazioni sui percorsi di cura nelle patologie mentali gravi per metterle a confronto con il tema del soggetto (il paziente, il professionista) e con il rischio presente che a quest’ultimo vengano sottratte progressivamente le proprie competenze. La cura stessa, infatti, si sviluppa nella relazione tra soggetti e si rapporta, a volte in senso dialettico, altre volte in modo sinergico, con “percorsi di cura” definiti (dalle linee guida ai protocolli diagnostico terapeutici).

Si tratta di tematiche complesse che esprimono due polarità opposte nell’operare sanitario, in equilibrio instabile tra elementi oggettivi e componenti personali; al contempo, come si riscontra nella pratica quotidiana, tali tematiche sono profondamente correlate tra loro e costituiscono uno snodo critico nel mondo sanitario e psico-sociale.

Alcune problematiche inoltre sfuggono agli approcci clinico assistenziali standardizzati, come il disagio diffuso tra i giovani, il ruolo della famiglia, la percezione della sessualità, la multiculturalità, la frequenza di espressioni violente. Sono questioni che interrogano molto la società attuale, quanto mai spaesata riguardo agli aspetti socio-culturali, psicologici, educativi. Al contrario, la tendenza a inserire acriticamente il paziente in una procedura può favorire la chiusura e limitare lo sguardo professionale, favorendo cosi l’esercizio abituale di atti clinici sempre meno tesi alla comprensione della complessità del bisogno del malato. 

La dimensione fondamentale del bisogno comunque permane e ci sembra che il considerarla aiuta a spalancare le prospettive di professioni nelle quali le risorse personali sono così decisive. 

Per questo il Convegno si è proposto di condividere il valore dell’esperienza umana elementare, interpellando autorevoli relatori, chiamati a confrontarsi con il dramma e il desiderio dell’uomo d’oggi, per cercare di recuperare i fondamenti delle relazioni di cura e di aiuto senza ignorare le tante dimensioni implicate. 

Il Convegno, oltre a coinvolgere esperienze a vario titolo impegnate nell’assistenza, cura e riabilitazione di adulti e minori nell’ambito della comunità civile, ha rappresentato l’inizio di un percorso di lavoro, svolto in collaborazione con la Diocesi di Milano, sul tema della cura e del curare nei loro legami con il soggetto in azione, cioè in relazione con l’altro, con le persone e i loro bisogni. 

Questa pubblicazione fa seguito a quella degli Atti del Convegno 2016 La cura al confine. Le relazioni di cura tra incontro e cultura dello scarto (JMP 2017 – 1), ma pur invertendo la successione temporale rispetta la sequenza logica di insieme del lavoro sviluppato.

 

Gemma Migliaro