Le osservazioni dei partecipanti ai seminari di lavoro a gruppi: la responsabilità della cura – 11 maggio 2018

Una sintesi del contributo di chi si è coinvolto intervenendo sulla base della propria esperienza e del confronto con le proposte dei relatori. Appunti per favorire lo sviluppo del seme piantato

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La responsabilità di chi cura, al fondo, che cos’è? È riducibile alla sola applicazione di regole o di protocolli? La risposta è da cercare dentro la relazione con il paziente. Così come i criteri per affrontare ogni decisione o scelta. Fino all’ambito della presa in carico, con i molteplici fattori in gioco quali il tempo, l’integrazione di competenze, i vari attori (famiglia, rete)

Responsabilità della cura e cura della relazione

La qualità della relazione con il paziente è determinata dall’operatore e dal contesto di cura.

Essere in grado di identificare i propri limiti ed i propri bisogni, per permettere di facilitare il loro riconoscimento nell’altro.

La “non scuola della madre” (Winnicot) permette l’attivarsi naturale di un’attenzione ed una sensibilità agli aspetti emotivi e relazionali nel percorso di cura, ma devono essere coniugati alla competenza professionale e non possono vicariarne una scarsa presenza o addirittura assenza.

L’autonomia del paziente nella relazione: una corretta informazione acquisita dal paziente (direttamente dall’operatore, da altro paziente e/o via web), non lo rende competente quanto l’esperienza che va costruendo nel percorso di cura insieme con il/i curante/i.

La relazione di cura è qualificata da una comunicazione adeguata e competente, oltre che da un buon/elevato profilo professionale.

Imprescindibile la motivazione alla relazione interpersonale, e la sua valorizzazione, in qualunque condizione di assistenza, per mantenere e coltivare una buona motivazione professionale, e quindi responsabilità, nell’esercizio della cura.

Falsa e vera responsabilità

La pratica acritica di una medicina difensiva, ad ogni livello, falsa la responsabilità clinica sia del singolo sia del gruppo /équipe, rischiando anche di rallentare il tempo delle decisioni e delle scelte, con nocumento per coloro che dobbiamo curare.

Così pure nell’applicazione algida e meccanica di protocolli e/o linee guida, vi è il rischio di allontanare da sé la visione della persona, della sua malattia e della sua storia (p. es. in hospice).

Assumere responsabilità, nella valutazione e nella definizione del percorso di cura, significa assumere consapevolezza del proprio compito e condividerla, oltre che nel gruppo di lavoro, con le persone che curiamo ed i loro familiari.

Specificità del lavoro territoriale

Significativa la partecipazione di medici di medicina generale, di medici o operatori di strutture di tipo socio-sanitario e di tipo riabilitativo: la loro esperienza ha evidenziato condizioni e stili di lavoro assai diverse dall’esperienza dei colleghi medici e operatori ospedalieri. 

Una problematica è la “solitudine” nell’ambito della rete sanitaria e più in generale della difficoltà a fare rete fra ambito ospedaliero e territoriale. Diffusa è l’esigenza di avere occasioni di formazione e di approfondimento specificamente dedicate al lavoro nelle strutture territoriali (disabilità, anziani, ecc) e nell’ambito della medicina generale.

Altra frequente esigenza, ad es. nelle situazioni di cronicità: quella di affrontare lo scollamento vissuto da molti tra dimensione organizzativa e dimensione clinico – operativa, spesso ostacolo per una possibile assunzione di responsabilità nei percorsi assistenziali “integrati”.

Motivazioni all’impegno personale 

A fronte di queste criticità, la motivazioni e l’impegno personale nell’ambito di una equipe di lavoro rappresentano spesso l’ingrediente che permette di offrire assistenza di qualità e soddisfazione nel proprio lavoro.    

Impegnarsi veramente nella relazione di cura, vivere con autenticità la propria responsabilità di operatore sanitario, necessita di supporto e condivisione: rappresenta una sfida condivisa, e un obiettivo che dovrebbe essere favorito dall’ambito organizzativo. 

La fatica dell’operare di fronte a condizioni “estreme” (la vicinanza della morte, la gravissima disabilità, gli eventi acuti nei grandi anziani e la successiva assistenza) necessitano di attenzione in ambito formativo e di supervisione e supporto nelle reti professionali. 

Responsabilità è relazione e insieme spazio interiore

La responsabilità va considerata all’interno di una relazione, di fronte all’altro. Questo può facilitare un percorso decisionale. 

Ma occorre uno spazio interiore per svilupparla. La responsabilità infatti matura dentro una storia, e per l’operatore e per il paziente  (sin dalle relazioni materne). 

Il chiedere perdono da parte del medico e l’offerta reciproca nella relazione come per-dono. Perdonare la fatica che l’altro ti fa fare, come normalità non come eccezionalità è il massimo possibile del dono (pensiamo al tempo, ai minuti in più).

La relazione  operatore – paziente è di fatto asimmetrica. Ma la fiducia è da conquistare. Può fidarsi di me il paziente se percepisce come io guardo a me stesso in profondità (stima reciproca) 

Si è parlato di operatori come costruttori di cattedrali, ma intese come la tenda da costruire giorno per giorno, nella pari dignità delle professioni dell’equipe. Colleghi, cioè legati dal fascino di uno scopo comune.

L’essenziale, a partire dalla domanda dell’altro 

Il diritto al riconoscimento del dolore per il paziente psichiatrico (Basaglia): è diritto o bisogno? Se è solo diritto, viene meno il cum-petere (competenza come domandare insieme) e ha campo la pretesa, non la domanda. Anche la gratitudine è correlata con la domanda.

Responsabilità, cioè risposta a una domanda. Di qui l’identificazione con l’altro, attraverso bisogni e sintomi (“ma come deve star male…”). Gesti e parole che creano l’alleanza.

Il prendersi cura responsabile dipende anche dal clima organizzativo: se manca la costanza dell’operatore, ad es., difficilmente avviene. 

Occorre recuperare uno sguardo all’altro che un tempo era “normale” nelle professioni sanitarie. 

La dimensione del lavoro multiprofessionale (integrazione, équipe): elementi del corso da sviluppare per comprendere sia come curare chi cura, sia come dare continuità alla cura. 

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