“Curare chi cura”. Presentazione del corso – Giorgio Cerati
Perché interrogarsi sulla questione della cura e in particolare sulla relazione di cura?
La cura comporta un incontro con l’altro in condizione di bisogno. Bisogno che appare sempre più sconfinato e nel contempo misconosciuto, tanto nelle evidenti situazioni di trascuratezza e di esclusione, quanto nei meccanismi quotidiani di rapporto con l’uomo malato o sofferente. La cura, come esigenza universale, sembra oggi marginale nelle relazioni umane e forse delegittimata.
La cura non è riducibile di norma alla prestazione puntuale e comporta lo stabilirsi di una relazione. Ma la medicina è in difficoltà perché la clinica, in origine il chinarsi al letto malato, corre oggi il rischio di essere percepita come meno scientifica rispetto all’approccio biomedico. Eppure nel tempo attuale per curare il malato, spesso cronico, urge la clinica e un medico che sappia integrare il progresso tecnologico con un metodo umanistico.
La pratica della medicina rivela criticità nel rapporto medico-paziente, negli eccessi della medicina difensiva o nell’uso di linguaggi medici che escludono la relazione con la persona. Inoltre, nella presa in carico del paziente con bisogni complessi e persistenti, fisici e psichici, è fondamentale l’integrazione delle professioni per dare ascolto e risposte adeguate alla persona nel tempo. E nel brusco passaggio dall’autonomia alla disabilità, ad es. nell’anziano, anche la famiglia diviene interlocutore decisivo e assumono valore i legami sociali, come nelle tante situazioni di confine tra curabilità e in guaribilità, in collaborazione con i care givers e le reti comunitarie.
Si possono inoltre esemplificare vari altri temi specifici: dalla domanda di senso nella malattia al fattore speranza in oncologia; dai percorsi terapeutico riabilitativi resi possibili solo da un rapporto personale, al lavoro delle equipe, alla formazione dell’operatore, sino ai servizi nel territorio per la presa in carico delle persone.
Nell’attuale cambiamento epocale, la società avverte l’esigenza di ricostruire l’esperienza di comunità, anzi di una “comunità della cura”, come sostengono alcuni sociologi, quasi un compito affidato agli operatori sanitari e sociali.
La cura ha in sé una necessità ontologica in virtù della vulnerabilità e della fragilità dell’uomo. Per questo l’essenziale della cura è la relazione, il prendersi a cuore l’altro nella relazione e si realizza come cura del soggetto (cura di sé e dell’altro) e poi delle istituzioni socio-sanitarie, i cui modelli operativi sono sempre da ripensare.
Si tratta di questioni di fondamentale rilievo di cui abbiamo ampiamente discusso in un ambito collegiale, il tavolo informale di lavoro promosso dalla diocesi di Milano: insieme, abbiamo cercato di elaborare una proposta di percorso formativo sulla base di alcune domande.
Gli operatori sanitari sono preparati a questo scenario? Posseggono le basi conoscitive e motivazionali per affrontare i nuovi bisogni, spesso persistenti e complessi, per lavorare in équipe, per rispondere alla domanda delle persone con le proprie risorse umane e professionali senza soccombere?
Come rispondere a tali esigenze? Come occuparsi dei soggetti che si prendono cura dell’altro, oltre che dei destinatari degli interventi? La cura dell’operatore passa anche attraverso un percorso di formazione, con in quale favorire il raggiungimento di alcuni obiettivi: comprendere e accettare la dimensione del bisogno come condizione umana normale e condivisa; approfondire la relazione con l’altro e la sua essenzialità alla cura, sia con i pazienti che nelle équipe curanti multidisciplinari e nel lavoro di rete; affrontare le responsabilità e le scelte che le professioni sanitarie esigono nella cura e nella presa in carico, in ospedale o nel territorio.
Per questo abbiamo realizzato il Corso di formazione Curare chi cura, un progetto formativo in tre incontri dedicati ai temi del bisogno, della relazione e della responsabilità nella cura, di 4 ore ciascuno, attuati con metodologia seminariale, alternando interventi frontali in plenaria con lavori in gruppi più ristretti e modalità interattive. Quindi, agli interventi in aula dei relatori sul tema specifico, uno di taglio propositivo l’altro esemplificativo, hanno fatto seguito i seminari di lavoro a gruppi per agevolare il confronto e lo sviluppo di proposte, ipotesi, opportunità realizzabili nei vari ambiti operativi ospedalieri o territoriali di lavoro dei partecipanti.
Comuni erano le domande di volta in volta proposte sia ai relatori che agli iscritti al corso.
La prima, all’incontro del 16 marzo 2018, riguardava il bisogno:
Esiste una difficoltà ad accettare la sofferenza, la malattia, il limite come parte di una condizione normale di bisogno. Questo problema, che accomuna pazienti e operatori, sfida nel lavoro quotidiano i bisogni, i desideri e le motivazioni di ognuno. E si misura oggi con realtà sempre più complesse di disagio e con le loro domande di salute. Vi è un percorso positivo utile?
La seconda, il 12 aprile, concerneva la relazione:
Il rapporto operatore paziente e la collaborazione tra professionisti sono accessori dell’agire clinico? O la relazione con l’altro è costitutiva della cura? Il soggetto emerge nell’incontro, in un clima di fiducia e di alleanza, che va sostenuto e sviluppato. Qui la funzione dell’équipe dei curanti è basilare. Non si può curare da soli. Quali metodi ed esperienze considerare?
L’ultima, l’11 maggio, trattava la responsabilità della cura:
La responsabilità di chi cura, al fondo, che cos’è? E’ riducibile alla sola applicazione di regole o di protocolli? La risposta è da cercare dentro la relazione con il paziente. Così come i criteri per affrontare ogni decisione o scelta. Fino all’ambito della presa in carico, con i molteplici fattori in gioco quali il tempo, l’integrazione di competenze, i vari attori (famiglia, rete).
Di ogni giornata si è scelto di pubblicare almeno una relazione di particolare rilievo per chi opera nell’attuale contesto e momento storico.
Nel contempo si è inteso valorizzare il contributo dei partecipanti ai seminari di lavoro a gruppi, intervenuti attivamente a partire dalla propria esperienza e dal confronto con quanto proposto dai relatori, pubblicando le loro osservazioni così da cercare di favorire lo sviluppo del seme piantato in questa prima e così significativa “impresa” comune.
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