La responsabilità nella scelta della cura e i fondamenti che la motivano
Gemma Migliaro – MD PhD – Anestesista, Genova
Curare chi cura è indispensabile perché chi cura possa a sua volta ancora curare.
Innumerevoli sono i percorsi su cui avviarsi per aiutare chi cura a “prendersi cura” di sé.
Vengono qui offerti alcuni spunti di riflessione e considerazioni per dare inizio ad un cammino personale: Papa Francesco suggerisce infatti che occorre “[…] occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi […]”.
Tale proposta rappresenta un metodo di lavoro e di giudizio che è stato utilizzato nella stesura di questa relazione che, nata originariamente come esposizione orale supportata da slide, ora diviene testo scritto.
Il titolo della relazione presentata al convegno è: “La responsabilità nella scelta della cura e i fondamenti che la motivano”. Si è scelto di “scomporlo” per esaminare e approfondire ciascuna delle parole che lo compongono , persuasi che un aiuto potrebbe venire dall’addentrarsi nel contenuto, spesso non univoco, di ogni termine in questione.
1) La cura
Socrate, uno dei pilastri della nostra tradizione di pensiero, ci suggerisce, per definire la cura, di partire da sé.
Eppure prima di spirare Socrate esorta i suoi giovani allievi all’arte della cura: “[… ] abbiate cura di voi stessi e così farete cosa gradita a me e a voi. […]”.2
Rintracciare, dunque, l’originaria accezione socratica della cura significa pertanto recuperare la dimensione più autentica dell’uomo: la sua complessa soggettività.3
La cura di sé deve essere intesa come costruzione interiore della persona, che non si realizza esclusivamente nell’agorà, ma anche nel ripiegamento in sé stessi. È una forza interiore che deriva dalla consapevolezza dei propri limiti e della propria vulnerabilità, ma è anche libertà di pensiero e di autonomia nel giudizio.
Socrate chiede di pensare a sé, di dedicare spazio interiore, cioè tempo alla cura di sé, alla costruzione della propria interiorità.4
Anche pensatori più recenti si sono occupati della cura.
M. Heidegger nella sua opera Sein und Zeit definisce la cura (Sorge) come la radice primaria dell’essere umano e il fondamento dell’esistenza[…]
Il termine latino cura vuol dire letteralmente preoccupazione, nel senso di prendersi cura, occuparsi di qualcosa.[…] La cura diventa perciò pre-occupazione, Be-sorgen, «prendersi cura».[…] Nel concetto di cura ritorna, quindi, l’accezione latina còera-còirada cui l’etimologia del termine cura e il rinvio a cor: quod cor urat, ciò che scalda il cuore. Prendersi cura è ciò che scalda il cuore e lo consuma, in senso heideggeriano è uno stato doloroso che ci costringe amorevolmente a rispondere di un’esistenza,[…].5
L’«aver cura» heideggeriano si definisce, così, come relazione fra soggetti che esclude la delega ad altri poiché atto di cura che implica una assunzione di responsabilità in prima persona.
Il tempo è fondamentale nella genesi della cura ed è un tempo non fatto solo di minuti e ore ma è una relazione di cui il professionista (medico, infermiere, tecnico…) è responsabile.
Ad-sistere […] richiede tempo, ma non un tempo in senso aristotelico, un tempo fatto di istanti separati, calendarizzati, ma un tempo altro.[…] L’ ‘aver cura’ heideggeriano si definisce, così, come relazione fra soggetti che esclude la delega ad altri, poiché atto di cura che implica un’assunzione di responsabilità in prima persona.6
2) La responsabilità
Martin Cruz, filosofo contemporaneo, in una sua opera “Farsi carico” ci fa notare come oggi, ed è un fenomeno che accade per molte parole, più un termine è diffuso, più sul suo contenuto, sul suo significato non si trova un accordo.
Nel mondo contemporaneo la responsabilità, proprio come il passato e il futuro, è costantemente evocata, auspicata, addossata; vi sono continui rimandi ad essa, in qualsiasi campo e da qualsiasi schieramento politico.[…] Inoltre, nonostante questi continui richiami alla responsabilità, sembra sempre più difficile identificare dei responsabili: «è sempre più difficile accusare, su qualsiasi piano, qualcuno o qualcosa, ma, al contempo, si è soliti essere d’accordo (ed è bene che sia così) sul fatto che i danni provocati debbano essere riparati»7, si è d’accordo sull’importanza della responsabilità ma non sui suoi contenuti.8
Attraverso un piccolissimo excursus storico si può scoprire che nel mondo greco e romano non v’è traccia della parola responsabilità. Anche se nelle plurime virtù degli uomini omerici9 c’è sicuramente la sua presenza, essa non è tematizzata. Il concetto di responsabilità viene introdotto dalla tradizione ebraico-cristiana: alla domanda di Dio, l’uomo risponde attraverso la libertà, libertà che si realizza appieno proprio in questa adesione.
Preme qui far notare la presenza del termine (e del concetto) di libertà nella dinamica dell’esercizio della responsabilità.
La lingua greca e la lingua latina non hanno un vocabolo specifico per esprimere i concetti di responsabilità e di esser responsabile.
[…] La religione ebraico-cristiana inaugura una svolta anche per quanto riguarda il concetto di responsabilità di cui emerge il senso relazionale e responsivo (testimoniato linguisticamente dal respondeo latino).10
Si propongono ora (senza pretendere di esaurirle tutte) alcune declinazioni di significato del termine responsabilità. Non è ozioso soffermarsi su di esse perché ciascun contenuto di significato rivela una sfaccettatura del termine che può aprire spazi di riflessione. Si utilizza qui un lavoro di R. Turoldo, che nel suo libro Bioetica ed Etica della Responsabilità prende in esame molte implicazioni del termine responsabilità:
• imputazione: rispondere davanti a. Essere responsabili davanti a un altro che è vittima, dover rispondere al Giudice e alla Società, oppure al giudice interiore che è la Coscienza [Ricoeur]
• in senso antecedente: essere responsabili di un altro che ci è dato in carico (figlio) o che non conosceremo mai (generazioni future) [Weber, Jonas, Apel]
• risposta a un altro: richiama la virtù dell’amicizia
• come re-sponsio: impegno solenne preso nei confronti di un altro; promessa che viene fatta
• rem ponderare: capacità di valutazione, come «phronesis» (virtù della prudenza). Essa insegna a non applicare norme universali in modo astratto, come se dovessero valere indifferentemente per qualsiasi soggetto e per qualsiasi situazione, perché in fondo tutti i soggetti si assomigliano
• come resistenza (resistere, contrastare)
• come gestione sociale del rischio: il danno anche non colpevole, va risarcito, l’attenzione si sposta dal colpevole alla vittima (il debole, fragile, vulnerabile che come tale va salvaguardato) [Ricoeur].
[…] Tutti i significati e le etimologie proposte del termine responsabilità rimandano all’intersoggettività e alla reciprocità.[…] Un’etica della responsabilità potrà essere intesa in molti modi ma mai in senso solipsistico.11
3) La responsabilità è relazionale.
Emerge da quanto detto fino ad ora che non si può mettere in atto la responsabilità senza la relazione con un altro. Inoltre appare evidente che la relazione non si possa limitare al rapporto uno a uno ma si debba esplicare nei confronti della società e del mondo intero.
Il termine responsabilità ha due grandi significati: uno, che sembra essere diventato prevalente, rimanda alla dimensione dell’ imputabilità delle azioni, è il render ragione a sé e agli altri delle azioni che compiamo (essere responsabile di qualcosa). L’ altro, altrettanto rilevante, è la responsabilità come cura, come attenzione, come sollecitudine verso qualcuno o verso qualcosa.12
Il pensatore che ha approfondito in modo particolare il tema della responsabilità è stato Hans Jonas. Nel suo testo forse più noto Il principio responsabilità affronta perché, nel mondo odierno, dove sono andati persi i fondamenti e contenuti dei famosi valori condivisi, l’esigenza di comprendere il contenuto della responsabilità sia comparsa prepotentemente in molti uomini.
La natura è caratterizzata da una intrinseca finalità, essa è la fonte originaria di tutti i “valori”. La natura custodisce dei valori in quanto custodisce degli scopi”.[…] Nella capacità di avere degli scopi in generale possiamo scorgere un bene in sé, la cui infinita superiorità rispetto ad ogni assenza di scopo dell’essere è intuitivamente certa.[…] Non è possibile retrocedere davanti all’autoevidenza [che questo enunciato] possiede.13
Jonas chiama responsabilità questo impegno a favore dell’essere e questa disponibilità a favorire la vita tramite la propria azione.
4) La decisione. Scelta della cura?
La decisione è un momento fortemente individuale, è il gesto con cui ci appropriamo simbolicamente del futuro, l’impronta leggera che cerchiamo di lasciare sulla superficie ancora immacolata, è il nostro rivelarci a noi stessi e agli altri.14
La decisione è un gesto, una azione che possiamo fare solo noi , essa contiene in sé una ipotesi di costruzione.
In questo senso siamo chiamati a rispondere anche della scelta di non agire, di non decidere: la responsabilità non riguarda soltanto le azioni, ma anche le omissioni, le azioni mancate, le decisioni di ritrarsi dalla scena pubblica.15
Attraverso la decisione/azione noi lavoriamo per incrementare una delle dimensioni costitutive della nostra identità.
Il richiamo alla responsabilità, infatti, non dovrebbe diventare la causa di un risentimento paralizzante, ma «dovrebbe servire per spingerci all’azione, pienamente consapevoli che in essa c’è qualcosa di nostro, che ci appartiene – anche se non in regime di proprietà privata».16
La responsabilità perciò non è spontaneità, ma non è neanche un peso che grava sulle nostre spalle. Spesso accade invece che noi viviamo la responsabilità proprio come una condanna.
Sartre descrive bene questa posizione che la nostra libertà può assumere: la definisce la tragedia della responsabilità. Ne L’existentialisme est un humanisme17 Sartre descrive la responsabilità come una terribile condanna che grava sulla condizione umana e ne mina la possibilità d’azione.
5) Lo scenario contemporaneo
Per valutare la situazione attuale occorre tenere conto della rivoluzione tecnologica in corso.
La tecnologia trasforma radicalmente la nostra esperienza.[…] In modo reale, perché muta le relazioni spazio-temporali con il nostro ambiente, con i nostri simili, con l’eredità delle nostre conoscenze (basti pensare alla cosiddetta rivoluzione informatica), con il nostro corpo (si pensi alla cosiddetta rivoluzione biotecnologica[…]), con la natura che ci circonda (con la possibilità di modificare le strutture dei viventi e di permettere di programmare animali e vegetali come macchine biologiche per produrre farmaci). E l’uso consueto del termine rivoluzione per descriverli indica la percezione della loro portata in riferimento sia all’esperienza concreta, sia alle modalità con le quali tendiamo a comprenderli.18
Secondo molte previsioni di analisti qualificati e dello stesso andamento del mercato, il lavoro medico, tipicamente intellettuale, può trovarsi in difficoltà, in pratica essere sostituibile, di fronte all’avanzata delle tecnologie robotiche e di quelle sofisticate innovazioni che utilizzeranno al meglio i big data.19
Occorre anche descrivere l’impatto della aziendalizzazione sulla professione:
Il non-allineamento dei valori del professionista con le procedure aziendali[…] si verifica quando le procedure aziendali richieste dall’organizzazione inducono i professionisti ad azioni in conflitto con i valori della loro professione.[…] Le organizzazioni istituiscono procedure che dispongono routine e risorse con lo scopo di raggiungere degli obiettivi che spesso, oltre all’efficacia, includono anche l’efficienza e il rispetto di requisiti aziendali o legali.20
Un cambiamento di cui occorre tenere conto.
A causa dello sviluppo straordinario delle potenzialità e dei rischi della tecnica moderna, è venuta sempre maggiormente in evidenza la dimensione prospettica della responsabilità ed è per questo stesso motivo che oggi si discute tanto di responsabilità, mentre non se ne discuteva in passato, quando il raggio di influenza delle azioni umane, oltre ad essere molto limitato nel tempo e nello spazio, era facilmente ascrivibile a un soggetto individuale.
L’operatore della sanità spesso è costretto dalle circostanze professionali ad assumersi la responsabilità della decisione nella scelta della cura (intesa come terapia, ma anche come procedure diagnostiche e in fondo come “atto ufficiale” che richiede la firma).
Tale decisione è spesso la risultante di un lavoro fatto da molti e questo lavoro a volte è solo “sommatorio” e non di équipe. Occorre anche essere consapevoli che la decisione non potrebbe essere presa se molti altri non avessero lavorato con noi “per” il malato.
In ultimo, non è stato approfondito, anche se citato, il tema della responsabilità medico-legale. Essa è stata normata, in parte, dalla legge Gelli (Legge 8 marzo 2017, n. 24).21 Questa ha fra i suoi obbiettivi dichiarati quello di limitare la pratica della cosiddetta medicina difensiva.22
L’ingresso della legge nella professione medica è avvenuto nei paesi anglosassoni già alla fine dell’ottocento, come è documentato dalle prime sentenze in materia, e ha riguardato soprattutto la veste di obbligazione contrattuale.23 È del dicembre 2017 la legge italiana sul consenso informato e le decisioni anticipate di trattamento (Legge 22 dicembre 2017, n. 219).24
Deliberatamente non si è voluto approfondire questo vastissimo argomento nella persuasione che l’esercizio delle professioni sanitarie comporti una quota di “rischio” inevitabile. Tale rischio è contemporaneamente amplificato ma anche limitato dalla pratica del lavoro in equipe, senza dimenticare che nella gestione del rischio anche le strutture sanitarie che possono rivalersi sui professionisti.
Preme ricordare, per concludere, che il termine rischio ha assunto nel mondo sanitario una valenza negativa. Non sarà mai possibile (ma questo accade in tutte le professioni e mestieri) eliminare del tutto l’evenienza che si verifichino errori o incidenti. A questi, nel mondo sanitario, conseguono quasi sempre l’apertura di procedimenti legali che penalizzano anche moralmente i professionisti (basti pensare alla rilevanza mediatica che assumono).
È nella relazione medico-paziente, di cui le considerazioni fino ad ora esposte hanno offerto spunti per una costruzione (o ri-costruzione), che anche il rischio può trasformarsi in lavoro positivo per il bene del paziente stesso e la salvaguardia dell’operatore.
Bibliografia
1. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (24.11.2013), n. 223
2. A. Papa,L’identità esposta: la cura come questione filosofica, Vita e Pensiero, Milano 2014, p.6
3. ivi, p.14
4. cfr. ivi, pp.3-22
5. A. Pessina, Paradoxa. Etica della condizione umana, Vita e Pensiero, Milano 2011, pp.77-78
6. ivi, pp.79-81
7. M. Cruz, Farsi carico. A proposito di responsabilità e di identità personale, Meltemi, Milano 2005, p.36
8. C. Cossutta, Farsi carico. Il tema della responsabilità in Manuel Cruz, in“Lessico di etica pubblica», 2 (2014), p.67
9. cfr. Alasdair McIntyre, Dopo la Virtù. Saggio di teoria morale (2 Ed.), Armando, Roma 2007
10. R. Franzini Tibaldeo, Responsabilità, in “Lessico di etica pubblica”, 3 (2012), p.185
11. Cfr R. Turoldo, Bioetica ed etica della responsabilità,Cittadella, Assisi 2009, pp. 40-43
12. A. Pessina, Ecologia, responsabilità e antropocentrismo, in “Medicina e Morale”65 (2016) pp. 709-713
13. H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1999, p. 102
14. C. Cossutta, op.cit., p. 69
15. ibidem
16. Ibidem
17. J.P. Sartre, L’existentialisme est un humanisme, Nagel Editions, Paris 1946
18. A. Pessina, Il bello dell’etica. Per una rilettura del rapporto tra essere e dover essere, in: R. Corvi (a cura di), Esperienza e razionalità, Franco Angeli, Milano 2005, p. 152
19. A. Panti, Questione medica. Guardiamo al futuro con parametri nuovi, Quotidianosanità.it 5 maggio 2018
20. A. L.Wright, R. F.Zammuto, P. W. Liesch, Maintaining the Values of a Profession: Institutional Work and Moral Emotions in the Emergency Department, Academy of Management Journal, 60(2017) pp. 200–237
21. http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/03/17/17G00041/sg
22. Per una trattazione estesa vedasi G. Forti, M. Catino, F. D’Alessandro, C. Mazzucato, G. Varraso (a cura di), Il problema della medicina difensiva, ETS, Pisa 2010
23. cfr. L. Lenti, E. Palermo, P. Zatti (a cura di) Trattato di biodiritto. I diritti in Medicina, Giuffré, Milano 2011
24. http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg
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